39 bambini uccisi in incidenti stradali. Per scelta.
Sono davvero incidenti? O abbiamo scelto che i nostri bambini possano morire per strada?
Nel 2022 sono morti sulle strade italiane 39 bambini. 18 di loro avevano meno di 6 anni.
Nel 2023 in meno di 5 mesi sono stati uccisi 135 pedoni e la pagina dell’Associazione Sostenitori ed Amici della Polizia Stradale che raccoglie gli articoli sulle vittime minorenni in incidenti stradali è una vera vetrina degli orrori.
Una nuova vittima ogni 4-5 giorni.
È un pugno allo stomaco. Non solo solo numeri, statistiche. C’è la descrizione dell’incidente, c’è per così dire una storia.
E per ogni decesso, c’è un responsabile, che se è sopravvissuto all’incidente (come nella maggior parte dei casi), si porterà addosso il dolore per tutta la sua esistenza.
A proposito del responsabile, chi ha causato l’incidente e quindi la morte, non è quasi mai citato negli articoli. È un continuo ripetere frasi fatte:
“strada impazzita” (ci vorrebbero degli psichiatri specializzati nel curare le strade),
“investito da un’auto” (auto a guida autonoma, evidentemente),
“in bici si scontra con un’auto” (di proposito?), eccetera.
Ti raccomando i post di Gianni Lombardi per un ricco campionario di come vengano descritti dai giornalisti gli incidenti stradali.
Gli incidenti stradali non sono incidenti
Ma quando muore qualcuno, soprattutto quando è un bambino, preferisci non pensarci, liquidarlo nella categoria “incidenti mortali”.
Ma non sono incidenti mortali.
Incidente è un avvenimento inaspettato.
Che cosa c’è di inaspettato in una tragedia che si rinnova costantemente da decenni?
Città per le auto o per le persone?
La maggior parte dei bambini muore in area urbana.
Le strade delle nostre città non sono adatte ai bambini.
Come scrive Thalia Verdake nell’articolo che ha ispirato questo post, questa è una precisa scelta.
Abbiamo predisposto le nostre strade per favorire un flusso di traffico veloce ed efficiente e per poter parcheggiare davanti alla porta.
Lasciamo che i bambini muoiano nelle nostre strade, perché le progettiamo per un flusso di traffico ottimale e risparmi sui tempi di viaggio.
Il modo in cui progettiamo le nostre strade è una scelta.
Insegnare a non morire
E mentre progettiamo le nostre strade al traffico automobilistico, insegniamo ai nostri figli come non morirci.
Abbiamo accettato il fatto che è normale che le nostre strade siano pericolose. Soprattutto per i più deboli.
Come se fossero loro stessi i responsabili degli eventuali incidenti:
“Stai sul marciapiede!”
“Non correre dietro alla palla!”
“Guarda bene da tutte le parti prima di attraversare!”
Anche nelle lezioni che la polizia locale impartisce ai bambini sin dall’asilo, i bambini imparano ad essere bravi cittadini che rispettano le regole della strada, per la loro incolumità.
Ero piccolo ed era colpa mia
Ricordo, quando giocando con mio cugino davanti a casa, stavo per finire sotto un’auto.
Saranno passati oltre 35 anni e a quel tempo le strade residenziali poco trafficate erano luogo di gioco per i bambini.
Ricordo ancora distintamente la macchina azzurra che inchioda e la mia faccia a pochi millimetri dal finestrino del passeggero, una ragazza molto spaventata.
Oltre a aver rischiato la vita, mi sono quasi preso un calcio nel sedere da mio padre (anche quello evitato per un pelo).
Un altro episodio quando frequentavo la prima o seconda media.
Scendo dal bus e mi fiondo dall’altra parte della strada per non perdere la coincidenza.
Un’auto inchioda e mi sfiora il fianco con il paraurti.
Sono vivo, riprendo a correre e riesco a salire sul secondo bus.
Una vigilessa che ha assistito alla scena mi rimprovera: “Potevi farti molto male!”
In entrambi i casi, è ovvio che avrei dovuto guardare prima di attraversare, ma avevo 9-12 anni e le sgridate le ho prese io, non i guidatori che immagino avessero “tutto il diritto” di percorrere la strada senza rallentare o preoccuparsi del fatto che un bambino potesse attraversare.
Un’auto conta più della tua vita
Sembra che le auto contino molto più delle vite stesse.
Quando si racconta di animali selvatici uccisi dalle auto, c’è sempre qualcuno che sottolinea invece i danni riportati all’auto.
I disagi del traffico sono molto più considerati delle lesioni cerebrali e del congedo per malattia per tutte quelle persone invisibili.
Per esempio scriviamo: “Danni considerevoli e ingorgo a causa di un tamponamento sull’autostrada tot”.
E non: “Persone in ospedale dopo lo scontro”.
La vittima più gravemente colpita viene regolarmente incolpata.
“Ragazzo di 8 anni si scontra con la bicicletta contro l’auto.”
Ma se si rispettasse la logica dovremmo dire che il conducente di un’auto ha investito un bambino di 8 anni in bicicletta.
Questa narrazione impersonale ci permette di deresponsabilizzare non solo i guidatori, ma noi stessi, che continuiamo a tollerare che le cose funzionino in questo modo.
I segnali stradali ci deresponsabilizzano
Per lo stesso motivo, dopo una serie di incidenti mortali a un brutta curva sulla strada provinciale a una paio di km da casa mia, gli addetti sono finalmente intervenuti cambiando il cartello di limite da 60 km/h a 50 km/h.
È ovvio che in quel punto chi esce di strada e muore va ben oltre i 60 km/h, ma aver messo un cartello ci deresponsabilizza: “Sono loro che andavano troppo forte”.
Ma qualcuno si chiede perché vanno troppo forte? Non sarà perché la strada è disegnata in modo da andare forte e la curva si presenta in modo inaspettato?
No, non può bastare un cartello.
Non basta segnalare agli utenti della strada la loro responsabilità.
La responsabilità è di tutti noi
Ogni incidente mortale (soprattutto se coinvolge un bambino) è l’inizio di un dramma che spesso distrugge la vita di intere famiglie.
Più i passanti, testimoni, fidanzati. La persona che ha accidentalmente ucciso qualcuno.
Chi come me ha visto morire un estraneo in un incidente, sa quanto la cosa possa essere scioccante.
Come possiamo risolvere questo problema?
Non possiamo fare finta di niente, fino alla prossima statistica, al prossimo disastro.
Non possiamo dare la colpa alle vittime.
Non possiamo incolpare la disattenzione dei genitori o la loro incapacità di educare al pericolo.
Non possiamo limitarci a mettere dei cartelli.
Non possiamo parlare sempre di “pirati della strada”.
Che ne dici invece di chiedere di ridisegnare lo spazio pubblico per le persone, grandi e piccole?
Che ne dici di chiedere di progettare città in modo da non dover temere di morire o di uccidere qualcuno per caso lungo la strada?