5 cose che ho imparato dal libro Bikeconomy
Quando Amsterdam studiava in Italia
Bikeconomy. Viaggio nel mondo che pedala è un piccolo manuale che esplora diversi aspetti del mondo della bicicletta: dalla mobilità urbana agli aspetti del vivere sociale, dai marchi storici al cicloturismo, dai campioni del passato al ciclismo amatoriale, dal bike sharing alle consegne in bicicletta.
Gli autori, Gianluca Santilli e Pierangelo Soldavini, esplorano il tutto con un occhio attento ai numeri e all’economia che si muove sui pedali, sottolineando le occasioni che non stiamo sfruttando e le incognite del futuro a due ruote.
Tra i molti spunti di interesse contenuti nel libro, queste sono 5 cose che voglio raccontarti.
1. Tutto è iniziato a Siena
Secondo quanto riportato nel libro Bikeconomy, la rivoluzione per rendere le città a misura di bicicletta non è iniziata ad Amsterdam, ma in Italia, a Siena!
Oggi sembra impensabile che Piazza del Campo, la piazza più famosa di Siena in cui ogni anno si assiepano le migliaia di spettatori che assistono al Palio, fino agli anni ‘60 fosse monopolizzata dalle automobili.
Eppure era così, fino a quando il sindaco Fazio Fabbrini decise nel luglio 1965 di chiudere il centro storico alle auto private.
La ragione era preservare il benessere e la sicurezza di tutti, evitare che le macchine potessero occupare e rovinare il più grande tesoro dei senesi.
Queste scelte ancora oggi vanno incontro ad attacchi feroci e puoi bene immaginare come possa essere stata accolta nel 1965.
L’anno dopo il sindaco fu costretto a dimettersi, ma nel 1971 l’amministrazione fu costretta ad allargare l’area pedonale. A Siena era diventato impossibile muoversi e il turismo ne stava soffrendo.
Quando nel 1976 Ivo Samkalden, sindaco di Amsterdam, presentò il piano di riforma della mobilità della capitale olandese, visitò Siena che era considerata un modello virtuoso, l’avanguardia europea per la gestione del traffico!
Quel piano ispirato a Siena segnò l’inizio della trasformazione di Amsterdam in una delle città più ciclabili al mondo.
2. Il provincialismo dei produttori italiani
I marchi italiani hanno fatto la storia della produzione di biciclette e accessori. E ancora oggi nomi italiani come come Pinarello, Colnago, Cinelli, De Rosa, Campagnolo sono sinonimo di eccellenza.
Ma le aziende italiane sembrano sempre più fragili di fronte a colossi stranieri, che investono in ricerca e sviluppo e hanno sempre maggiore capacità di penetrare il mercato.
Gli imprenditori italiani sembrano invece accontentarsi di rifornire la loro nicchia di appassionati, anche se tecnologia e innovazione si muovono a ritmi sempre più incalzanti.
Le grandi aziende italiane rischiano di essere fagocitate per la paura di far entrare soggetti estranei e capitali finanziari che sovvertirebbero le logiche familiari.
In questa cornice si inseriscono la tardiva percezione del fenomeno e-bike, lo scarso interesse verso la mobilità urbana e verso il cicloturismo.
Una mentalità più aperta consentirebbe di fare alleanze, cogliere nuove opportunità e prepararsi alle sfide attuali.
3. Ugo De Rosa e le bici in mezza giornata per Merckx
Gli anni Ottanta hanno portato un grande stravolgimento nel ciclismo. Gli sponsor hanno iniziato a dominare la scena, le biciclette non erano più gestite dai singoli ciclisti, ma fatte da grandi marche con pochissima differenza l’una dall’altra.
C’è stato un tempo invece in cui le biciclette nascevano dalla maestria di chi sapeva usare gli strumenti e di chi le bici le utilizzava in gara.
Grandi telaisti italiani sono stati spesso al più totale servizio di grandi campioni internazionali.
In Bikeconomy si racconta di quando Faliero Masi, già costruttore delle bici di Fausto Coppi, si impegnò a rifare dalla sera alla mattina, la bici con cui Jacques Anquetil avrebbe stabilito il record dell’ora.
Il campione francese, arrivato a Milano per stabilire il nuovo record, si accorse che la sua bici non si adattava al parquet del Vigorelli. Masi prese le misure del francese e confezionò una nuova bici in meno di 24 ore. Il 29 giugno 1956.
Negli anni ‘70 Eddy Merckx scelse Ugo De Rosa come proprio meccanico di fiducia, che doveva soddisfare ogni suo capriccio.
È capitato più volte che alla fine della tappa di un grande giro, il Cannibale esigesse un telaio modificato per il giorno dopo.
De Rosa ne prendeva nota e partiva verso il suo laboratorio di Cusano Milanino. Saldava i nuovi tubi, una verniciata veloce e ripartiva nel cuore della notte perché Merckx avesse la nuova bici in tempo per la partenza della tappa successiva.
4. Come si converte un territorio al cicloturismo
Riportando il caso delle Isole Canarie, Santilli e Soldavini tratteggiano le tappe per una conversione al cicloturismo di un territorio.
Le Canarie fino a 20 anni fa erano povere e degradate, con un mare freddo, un territorio selvaggio e senza una grande storia o grandi risorse culturali. Potevano però contare su un clima estivo tutto l’anno.
Poi sono iniziati i finanziamenti per dotare le isole di buoni collegamenti internazionali, strutture ricettive ideali e strade ben asfaltate.
Oggi Gran Canaria ospita 2,5 milioni di turisti l’anno (oltre il 15% dei quali sono ciclisti), ai quali offre tutto quanto serve per una vacanza attiva.
Dapprima sono stati attratti i team professionistici del ciclismo che hanno potuto allenarsi al meglio anche durante i mesi più freddi. I professionisti a loro volta sono stati il volano per moltissimi appassionati che trovano:
- Un sito internet in 10 lingue che permette a ognuno di organizzare la propria vacanza
- Noleggi in grado di affittare migliaia di bici anche top di gamma
- Guide esperte nel condurre gruppi di ciclisti
- Rispetto per i ciclisti lungo le strade
- Alberghi ottimamente attrezzati
- Relax e divertimento
Gli autori immaginano poi l’esperienza di una famiglia americana che voglia fare una vacanza in bici tra Roma e i Castelli Romani.
Cosa troverebbe?
Un sito internet che fa solo un veloce accenno alla mountain bike, 4 enti di promozione turistica che si accavallano senza coordinamento. Ogni singolo comune che promuove se stesso, come se diviso dagli altri avesse chance di vendersi come destinazione turistica.
Eppure basterebbe un po’ di organizzazione e investimenti ben indirizzati in una rete di infrastrutture sicure e servizi mirati perché il territorio dei Castelli Romani possa diventare attrattivo per i cicloturisti, visto che paesaggi, bellissimi percorsi, enogastronomia, storia e cultura non mancano di certo!
5. Aggiustare bici per aggiustare persone
“La bicicletta è uno strumento semplice, alla portata di tutti, ma che allo stesso tempo ha un valore sociale enorme, in grado di innescare super-relazioni.”
Queste sono le parole di una ragazza, tra i tanti volontari e operatori sociali intervistati dagli autori di Bikeconomy che hanno scelto la bicicletta come strumento per rimettere in sella persona disagiate.
Grazie alla bici sono nati progetti che aiutano i bambini ad acquisire autonomia, senzatetto a riprendere un ruolo attivo nella società, tossicodipendenti e ragazzi in difficoltà a sviluppare capacità tecniche e relazionali che potranno riutilizzare nel mondo del lavoro.
Molti di questi progetti sono nati all’interno o grazie a delle ciclofficine popolari, che dimostrano come la bici sia uno straordinario mezzo di aggregazione, capace di restituire un senso attraverso la manualità e la soddisfazione di costruire o rimettere in sesto alcuni meccanismi.
Riparare biciclette può essere l’occasione per riprendere in mano la propria vita e accrescere la propria autostima, recuperare sicurezza nelle proprie capacità.