5 cose che ho imparato dal libro No bici di Alberto Fiorillo
Che differenza passa tra la sconfitta di Caporetto e la conquista di paesaggi?
Ho incontrato l’autore di No bici Alberto Fiorillo di persona alla nascita ufficiale di Legambici il 14 febbraio 2019 a Milano.
Alberto Fiorillo è tra le altre cose, project manager del GRAB (Grande Raccordo Anulare delle Bici) di Roma. Lo seguivo già sui social, ma dopo l’incontro ho voluto approfondire il suo pensiero andando a cercare qualche suo libro. È così che ho trovato No bici.
Nonostante il tono spesso scanzonato, il libro No bici contiene un’analisi molto lucida sul contesto socio-politico italiano e delle difficoltà che incontra lo sviluppo della mobilità ciclistica.
Questi sono i 5 principali insegnamenti che ho tratto dal libro No bici di Alberto Fiorillo:
1. La disfatta di Caporetto è stata causata dal traffico
Quella che viene ricordata come una delle più grandi sconfitte belliche dell’esercito italiano avrebbe potuto avere contorni molto meno gravi se non fosse stato per il traffico veicolare.
Per quanto scioccante, questa è l’opinione di George Macaulay Trevelyan, un britannico che si trovava al fronte con la prima unità delle ambulanze della Croce Rossa britannica.
Trevelyan scrisse nel suo rapporto che le perdite si sarebbero potute almeno dimezzare se non fosse stato per la confusione lungo la strada tra Cormons e Udine.
Parliamo della Prima Guerra Mondiale, 24 ottobre 1917.
A quel tempo non esisteva l’obbligo per i veicoli di tenere la destra e ogni provincia poteva sceglierne la direzione di marcia. Il generale Cadorna aveva disposto che nelle regioni sotto il suo controllo i veicoli viaggiassero a destra, ma non nelle città, dove dovevano tenersi a sinistra.
Il panico dettato dall’attacco a sorpresa delle forze austro-germaniche fece il resto. Centinaia di autoveicoli e carri si ritrovarono bloccati per un’intera notte.
Secondo Trevelyan, non c’era nessuno a gestire la viabilità e “l’assenza totale di regole raddoppiò il numero di camion, cannoni e carri che caddero nelle mani del nemico”.
2. L’auto ha costi esagerati che ricadono su tutta la popolazione
In No bici si legge che “…per l’automobile si spendono circa 142 miliardi di euro ogni anno, 95 per l’esercizio e la manutenzione ordinaria, 38 per l’acquisto del nuovo, e 9 per la manutenzione straordinaria.”
A conti fatti si tratta di 4 mila euro a testa, includendo anche anziani e bambini e tutti coloro che un’auto non ce l’hanno e mai ce l’hanno avuta.
A queste cifre vanno poi aggiunti i costi per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture e le esternalità dovute all’inquinamento, ai danni all’ambiente a alla salute che le emissioni producono e quelli dell’incidentalità stradale.
Solo quest’ultima voce ci costa in Italia oltre 30 miliardi di euro l’anno.
“In tempi di crisi, questa ingente massa di denaro… potrebbe offrire una marcia in più al Paese se venisse utilizzata per cambiare il modello dei trasporti, puntando sulla mobilità collettiva anziché su quella privata,” chiosa Fiorillo.
3. I morti per incidente sono maggiori nell’ora di punta
Le vittime degli incidenti stradali negli ultimi anni si sono attestate tra i 3500 e i 4000 e dal dopoguerra all’anno di edizione del libro, il 2012, secondo Fiorillo si contano 450 mila caduti.
Impossibile dare tutta la colpa alle “stragi del sabato sera” o a chi si mette al volante dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo o sotto l’effetto di droghe, perché è nelle aree urbane e intorno alle 6.00 di sera che statisticamente si verificano più incidenti e più decessi.
Tra le possibili cause ci sono il traffico intenso, la stanchezza e lo stress di una giornata di lavoro e la riduzione della luce naturale.
L’enfatizzazione che anche sui mezzi di comunicazione avviene degli episodi in cui l’autista è in stato di coscienza alterato “è il miglior viatico alla rimozione collettiva del fenomeno (la colpa non è mia, è del criminale, dell’ubriaco, del drogato, del giovane disgraziato), una lettura integrale e onesta dei dati mette tutti sotto accusa.”
Il giornalista scientifico americano Tom Vanderbilt osserva che: ”Guidare un’auto è la cosa più pericolosa che la maggior parte di noi farà mai”. Le auto sono paragonabili a vere e proprie armi, visto la loro mole e le velocità che possono raggiungere.
Da tutto questo, consegue che i modi più efficaci per evitare morti sulle strade è la riduzione delle velocità. In città questo avviene soprattutto attraverso la realizzazione di vere Zone 30 e di strade a precedenza ciclabile, dove le auto non possono superare le bici.
4. Le auto vanno molto meno veloci di quel che si crede
Quando guidiamo un’auto crediamo spesso di andare forte perché abbiamo un motore in grado di farlo.
La realtà e che nelle grandi città in auto si viaggia sempre sotto i 30 all’ora: a Torino gli spostamenti in auto si effettuano in media a 26 km/h, a Genova a 25, a Roma a 23, a Napoli a 21 e a Palermo addirittura a 20.
Nelle ore di punta, se si considera il tempo per parcheggiare, la bici risulta addirittura più veloce e più efficiente dell’auto.
Diversi test effettuati su strada confermano che la guida aggressiva in città può far risparmiare tra 60 e 120 secondi ogni 10 Km. “Tanto sgommare per nulla.”
5. Il cicloturismo è conquista
Fare cicloturismo, si legge in No bici, significa “essere sempre viaggiatori, in ogni istante, quando si arriva e quando si è in sella.” E non spostarsi da una destinazione all’altra.
La bicicletta non è soltanto un mezzo di trasporto, e quando al si usa per viaggiare diventa “la sintesi della voglia di far parte dei popoli e dei luoghi che si attraversano, un modo per trasformare la strada in uno spazio da scoprire, assaporando ogni tratto dell’itinerario.”
Il cicloturista è rispettoso per scelta dell’ambiente e della vita delle persone che vivono nei posti che visita. Quasi sempre chi si muove in automobile per la gente del posto sarà soltanto un turista, mentre chi arriva, con fatica, con la bici carica di borse suscita curiosità. L’accoglienza delle comunità locali è per lui più semplice e genuina.
Il cicloviaggiatore, sia che avanzi tranquillo e rilassato, sia che arranchi nervoso per sfidare una salita o che abbia fame di km, è sempre un esploratore, “un moderno Marco Polo” che impara come “gestire le distanze, il tempo di una tappa, della vacanza, di una vita”.
In un’epoca in cui tutto è disponibile online, in cui si possono vedere in anticipo i più piccoli dettagli delle nostre mete di viaggio, al cicloturista “è ancora concessa la sorpresa, lo scenario inaspettato, l’incontro fortuito”.
A ogni colpo di pedale c’è una meraviglia da sentire sul proprio corpo. Le immagini e i panorami non scorrono semplicemente davanti al cicloturista, ma diventano suoi, perché li ha attraversati e conquistati.
Una cosa che chi viaggia in auto, separato dal mondo là fuori, non può fare.
“Perché il paesaggio, pedalando, si svela poco a poco, entra dentro, diventa parte integrante di chi lo attraversa.”
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