5 lezioni da Piccolo trattato di ciclosofia
Conosci te stesso! Attraverso la bici
Piccolo trattato di ciclosofia (sottotitolo: Il mondo visto dal sellino) di Didier Tronchet è una lettura piacevole e arguta.
Si tratta delle riflessioni in prima persona di un parigino abituato da sempre a sfidare il traffico della metropoli a cavallo della sua bicicletta.
Il libro ha il difetto di non avere una struttura ben definita, ma è alleggerito dal fatto di essere diviso in numerosissimi capitoletti senza titolo, a volte anche molto corti.
Nel Piccolo trattato di ciclosofia si parla della bicicletta come strumento di conoscenza del mondo e di fusione con la natura e di conoscenza di sé, delle capacità terapeutiche di un giro in bicicletta e si lancia un feroce atto di accusa all’automobile.
E queste sono le 5 lezioni principali che ho imparato da questo libro.
1. Qual è il maggior predatore dell’uomo?
Non ci avevo mai pensato in questi termini.
Consideravo ormai l’uomo giunto alla vetta della piramide alimentare, sconfitti tutti gli altri animali, predatore assoluto (esiste pianta o animale che l’uomo non mangi o non sfrutti a suo vantaggio?) e predato da nessuno.
Poi leggo il Piccolo trattato di ciclosofia e scopro che esiste qualcuno capace di una strage di proporzioni inimmaginabili, una vera ecatombe.
Dalla sua nascita, l’auto ha mietuto 35 milioni di vite umane solo in Francia! Questo fa dell’automobile il maggior predatore dell’uomo.
E la cosa più sconvolgente è che attorno ad essa gira un fiume pazzesco di denaro, vengono organizzate decine di fiere e saloni dove l’auto è incensata come una potenza divina. La magnificazione attraverso costosissime pubblicità di questo moloch ha qualcosa di assurdo e grottesco come se la gazzella innalzasse templi per venerare il leone, o come se l’agnello andasse in giro a organizzare feste in onore del lupo.
All’interno dell’abitacolo, l’automobilista è separato dalla vita. Non vive, ma esiste come in un videogioco.
Protetto da mille sofisiticazioni, i suoi sensi sono ottusi. I finestrini sono schermi dove la realtà si proietta, gli elementi esterni che una volta erano tangibili sono solo virtuali. Le persone, la temperatura, il vento, la pioggia, esistono solo come immagini filtrate dal parabrezza. Scorrono come in un videogioco. Un videogioco in cui però si muore davvero.
L’auto fa tanti morti quanti ne fa il fumo e per questo Tronchet avanza nel libro la proposta di far scrivere sulle portiere “nuoce gravemente alla salute”.
2. Il “ciclosomatismo” esiste!
Quando i nostri problemi mentali o psicologici danno origine a una malattia o a disturbi fisici, si dice che abbiamo somatizzato e le malattie che appunto derivano dai nostri disagi psicologici sono dette psicosomatiche.
Da oggi so che grane o tare psichiche possono dare adito a problemi anche quando si va in bicicletta.
I nostri disturbi e conflitti interiori sono trasmessi in modo misterioso alle nostre bici e possono causare incidenti e rotture di vario tipo.
Per dimostrare come la bicicletta sia un essere sensibile al riemergere del rimosso, Tronchet in Piccolo trattato di ciclosofia cita due fatti di cui è stato protagonista.
Una mattina in cui doveva affrontare una trasferta senza averne voglia ha scoperto che le ganasce dei freni si erano saldate sul cerchio della ruota e non gli permettevano di pedalare. E quel giorno non fu in grado di allentare la presa dei freni né tirandoli con le mani, né pedalando con forza.
Nel secondo esempio, Tronchet cita l’episodio in cui un senso di colpa dalla portata autodistruttiva gli fece esplodere in faccia una camera d’aria.
Questi episodi di ciclosomatismo testimoniano secondo Tronchet quanto più che un mezzo di trasporto, la bicicletta sia un mezzo per conoscere se stessi.
E a te sono mai capitati casi di ciclosomatismo?
3. Le migliori piste ciclabili non sono asfaltate
Qui Didier Tronchet ha smosso una delle mie certezze più incrollabili. E cioè che le piste ciclabili migliori, quelle più comode e atte all’efficienza del mezzo, dovessero essere asfaltate.
Con un semplicissimo ragionamento, Tronchet mi ha portato dalla sua.
Il paesaggio rimasto incolume dalla smania cementificatrice è più poetico, romanzesco di quelle autostrade in piccolo che sono le ciclabili asfaltate, con tanto di righe bianche disegnate a terra. Sono asettiche e sotto il loro catrame tutto muore.
Sassi, chiodi, crepe, vecchi arbusti, buche e pozze sono più selvaggi e sprigionano la fantasia e l’avventura. Il panorama pacificato della pista ciclabile asfaltata è sterile.
Il bitume sarà più gentile sugli pneumatici ed evita scossoni alla nostra schiena, ma spesso ha un prezzo da pagare ingiustificato in termini di senso di libertà e di divertimento.
4. Andare in bici in città non è pericoloso.
Quello per cui andare in bicicletta in città sia pericoloso è diventato ormai un luogo comune. Se è vero che in Italia muore quasi un ciclista al giorno in un incidente stradale (e i decessi che riguardano i pedoni sono circa il doppio), è vero anche che l’espressione “andare in bici in città è pericoloso” è causata da uno slittamento semantico.
Andare in bicicletta in città NON è pericoloso, è usare l’auto, o i camion, che è pericoloso per chi va in bicicletta.
Le biciclette in città sono pericolose solo nella misura in cui non sono rumorose. Gli unici, o quasi, disagi che i ciclisti possano provocare consistono nel piombare inavvertitamente su ignari pedoni che magari attraversano la strada senza curarsi di guardare perché non ha sentito nessun rumore di motore alle sue spalle.
In questo continuo rovesciamento di valori che è la vita moderna, la silenziosità della bicicletta è una colpa contrapposta al merito della rumorosità di un motore a scoppio.
In un mondo che pullula di aggressioni sonore, l’inquinamento acustico non sembra più qualcosa da combattere ma uno status che permette di affermare la propria esistenza. Né più né meno come secondo le logiche della comunicazione mass-mediale.
Faccio rumore dunque sono.
5. Il ciclista è dentro un film
Esiste un modo perfetto per viaggiare nel mondo e conosocerlo a fondo, e secondo il Piccolo trattato di ciclosofia di Tronchet è quello che si fa in sella a una bicicletta.
Se l’automobilista è separato dal mondo e lo percorre a una velocità che non gli concede di assaporarlo né di capirlo, dal sellino, il ciclista è immerso nel paesaggio e, come il pedone, ne gode a 360 gradi. Ma più di chi va a piedi, è al contempo in grado di muoversi a una velocità che gli permette di esplorarlo come una carrellata in un film d’autore.
Quello che si formerà nella mente dell’automobilista è un patchwork disordinato di immagini, mentre il ciclista formerà un tutt’uno con il mondo e nella fugacità del suo spostamento avrà visto e vissuto l’equivalente del raggio verde di Jules Verne, quell’estremo e mitico raggio si sole che pare sia visibile per un infinitesimo di secondo prima che sprofondi completamente in mare.
Queste 5 lezioni sono solo un assaggio dei numerosi e interessanti spunti contenuti nel Piccolo trattato di ciclosofia. Se ti sono piaciuti, ti consiglio di continuare la lettura comprando il libro. Te lo straconsiglio!
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