Come portare la cultura della bici in Italia (e da dove iniziare)
Come si sviluppa una cultura della bici e da dove inizia il cambiamento?
Ecco cosa insegnano in Olanda.
Quando si parla di uso della bici in Italia, il discorso spesso si arena davanti a un laconico “in Italia non c’è la cultura”.
Bike for Good, come tanti altri in Italia, non si arrendono di fronte a questo giudizio e stanno lavorando per promuovere l’uso della bici come mezzo di trasporto e svago salutare.
Qualche mese fa ho seguito il corso Unravelling the Cycling City dell’Urban Cycling Institute di Amsterdam, diretto dal mitico prof. Marco te Brömmelstroet.
Questo è quello che ho imparato durante il corso, arricchito da alcune mie riflessioni su cosa sia questa benedetta cultura della bici e come fare per portarla in Italia.
La bici è il perfetto ibrido uomo-macchina, quello in cui l’uomo è più visibile. (Marco te Brömmelstroet)
Storia sociale della bicicletta
Senza scendere in dettagli, prima degli anni ‘50 e ‘60, per raggiungere luoghi che non erano raggiungibili velocemente a piedi, la stragrande maggioranza delle persone usava la bicicletta.
Con l’avvento del boom economico, nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, a poco a poco molti abitanti delle campagne andarono a vivere in città, che divennero sempre più affollate e piene di auto.
Nelle città olandesi, molti edifici e interi isolati vennero abbattuti per far posto alle strade e ai parcheggi.
Finché negli anni ‘70, l’indignazione per gli incidenti mortali che coinvolsero diversi bambini, fece sorgere un movimento di protesta, che diede il via alla rivoluzione ciclabile.
In Italia invece è solo in tempi recenti che le questioni ambientali hanno smosso qualche coscienza e c’è voluta una pandemia, nel corso del 2020, per dare una forte spinta alle politiche in favore della mobilità ciclistica.
Piste ciclabili sì, piste ciclabili no
Gli attivisti sottolineano che la costruzione delle piste ciclabili deve essere accompagnata
- dalla realizzazione di incroci sicuri,
- da limiti più stringenti alla velocità dei veicoli,
- dalla moderazione il traffico nei quartieri residenziali,
- dall’offerta di parcheggi bici,
- da corsi di formazione specifici rivolti a ciclisti e soprattutto automobilisti.
Alcuni ricercatori mettono addirittura in dubbio che le piste ciclabili possano essere una risposta al bisogno di sicurezza e di sostenibilità ambientale, visto che le piste ciclabili non mettono in discussione, ma avvallano le modalità di pianificazione e regolamentazione del traffico esistenti, dove al centro c’è l’automobile.
Da questo punto di vista, costruire piste ciclabili non inserite in una più ampia cultura della bici può portare a soluzioni dettate dalla tecnica e non dai bisogni degli utenti.
Piste ciclabili nella storia
La storia delle piste ciclabili in Europa riflette i cambiamenti nelle modalità di utilizzo della bici.
All’inizio, le piste ciclabili servivano per separare il traffico, subordinando le bici alle auto, disciplinare i ciclisti e ridurre gli incidenti.
Gli amministratori locali e i progettisti consideravano i ciclisti persone all’antica, irresponsabili e anarchici che dovevano essere controllati.
Le piste ciclabili erano una soluzione razionale al problema del caos stradale che è stata poi cancellata in favore di una mobilità moderna sempre più dominata dall’automobile.
Negli ultimi decenni, le piste ciclabili separate e protette sono risorte dalle ceneri dell’immagine negativa che aveva investito la bici.
Ma focalizzarsi esclusivamente sulla realizzazione di piste ciclabili separate, senza la comprensione della storia multiforme dell’uso quotidiano della bici e senza una visione complessiva della mobilità, significa ottenere piste ciclabili poco utilizzate e quindi a un nulla di fatto sulla via per la diffusione della cultura della bici.
Questa è la tesi di una ricerca del 2011.
Due ingredienti necessari: qualità e visione
Se le piste ciclabili non sono di qualità, non sono in connessione tra loro e inserite in un sistema di mobilità che garantisca lo spostamento in sicurezza dall’inizio alla fine, non sono un fattore che determina la scelta di utilizzare la bici piuttosto che un altro tipo di veicolo.
Infrastrutture ben concepite sono essenziali alla ciclabilità sicura, ma la scelta delle infrastrutture da realizzare non deve limitarsi alle piste ciclabili separate. Per questi 2 motivi principali:
- Da una parte, le piste ciclabili in sede protetta possono essere la soluzione migliore per ciclisti meno esperti, ma devono essere presi in considerazione anche il contesto e le abitudini degli utenti.
- In secondo luogo, le piste ciclabili protette che producono separazione dei flussi potrebbero non garantire il raggiungimento di altri importanti obbiettivi come la riduzione dell’inquinamento e strade sicure per ogni persona, indipendentemente dal tipo di mezzo che ha deciso di usare per spostarsi.
Finora ho evidenziato in breve pro e contro delle piste ciclabili in sede protetta e tornerò a parlare di piste ciclabili nella terza parte di questo speciale sulla cultura della bici in Italia.
Nella seconda parte, ti parlerò invece di risparmio, rispetto, figure pubbliche e classi sociali.
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