Come portare la cultura della bici in Italia (e da dove iniziare)
Come si sviluppa una cultura della bici e da dove inizia il cambiamento?
Ecco cosa insegnano in Olanda.
In questo articolo parlerò di:
- Pro e contro delle piste ciclabili in sede protetta e storia della pista ciclabile.
- La bici risparmio per tutti, cultura del rispetto, figure pubbliche e classi sociali.
- Servizi e territorio. Come cambiare il tessuto urbano per dare strada alla bici.
- La bicicletta nel codice della strada. Perché i ciclisti devono obbedire alle stesse regole degli automobilisti e non a quelle dei pedoni?
- Perché i ciclisti non rispettano le regole? È proprio vero che i ciclisti sono più indisciplinati degli altri utenti della strada? Come e perché i ciclisti non rispettano il codice e quali soluzioni attuare.
- Auto e bici: due pesi e due misure. Le ricerche mostrano che i ciclisti non commettono più infrazioni. Perché allora vengono giudicati così male?
- Principi pratici per la diffusione di una cultura della bici in Italia. Che cosa conta di più per attuare il cambiamento?
Quando si parla di uso della bici in Italia, il discorso spesso si arena davanti a un laconico “in Italia non c’è la cultura”.
Bike for Good, come tanti altri in Italia, non si arrendono di fronte a questo giudizio e stanno lavorando per promuovere l’uso della bici come mezzo di trasporto e svago salutare.
Qualche mese fa ho seguito il corso Unravelling the Cycling City dell’Urban Cycling Institute di Amsterdam, diretto dal mitico prof. Marco te Brömmelstroet.
Questo è quello che ho imparato durante il corso, arricchito da alcune mie riflessioni su cosa sia questa benedetta cultura della bici e come fare per portarla in Italia.
La bici è il perfetto ibrido uomo-macchina, quello in cui l’uomo è più visibile. (Marco te Brömmelstroet)
Storia sociale della bicicletta
Senza scendere in dettagli, prima degli anni ‘50 e ‘60, per raggiungere luoghi che non erano raggiungibili velocemente a piedi, la stragrande maggioranza delle persone usava la bicicletta.
Con l’avvento del boom economico, nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, a poco a poco molti abitanti delle campagne andarono a vivere in città, che divennero sempre più affollate e piene di auto.
Nelle città olandesi, molti edifici e interi isolati vennero abbattuti per far posto alle strade e ai parcheggi.
Finché negli anni ‘70, l’indignazione per gli incidenti mortali che coinvolsero diversi bambini, fece sorgere un movimento di protesta, che diede il via alla rivoluzione ciclabile.
In Italia invece è solo in tempi recenti che le questioni ambientali hanno smosso qualche coscienza e c’è voluta una pandemia, nel corso del 2020, per dare una forte spinta alle politiche in favore della mobilità ciclistica.
Piste ciclabili sì, piste ciclabili no
Gli attivisti sottolineano che la costruzione delle piste ciclabili deve essere accompagnata
- dalla realizzazione di incroci sicuri,
- da limiti più stringenti alla velocità dei veicoli,
- dalla moderazione il traffico nei quartieri residenziali,
- dall’offerta di parcheggi bici,
- da corsi di formazione specifici rivolti a ciclisti e soprattutto automobilisti.
Alcuni ricercatori mettono addirittura in dubbio che le piste ciclabili possano essere una risposta al bisogno di sicurezza e di sostenibilità ambientale, visto che le piste ciclabili non mettono in discussione, ma avvallano le modalità di pianificazione e regolamentazione del traffico esistenti, dove al centro c’è l’automobile.
Da questo punto di vista, costruire piste ciclabili non inserite in una più ampia cultura della bici può portare a soluzioni dettate dalla tecnica e non dai bisogni degli utenti.
Piste ciclabili nella storia
La storia delle piste ciclabili in Europa riflette i cambiamenti nelle modalità di utilizzo della bici.
All’inizio, le piste ciclabili servivano per separare il traffico, subordinando le bici alle auto, disciplinare i ciclisti e ridurre gli incidenti.
Gli amministratori locali e i progettisti consideravano i ciclisti persone all’antica, irresponsabili e anarchici che dovevano essere controllati.
Le piste ciclabili erano una soluzione razionale al problema del caos stradale che è stata poi cancellata in favore di una mobilità moderna sempre più dominata dall’automobile.
Negli ultimi decenni, le piste ciclabili separate e protette sono risorte dalle ceneri dell’immagine negativa che aveva investito la bici.
Ma focalizzarsi esclusivamente sulla realizzazione di piste ciclabili separate, senza la comprensione della storia multiforme dell’uso quotidiano della bici e senza una visione complessiva della mobilità, significa ottenere piste ciclabili poco utilizzate e quindi a un nulla di fatto sulla via per la diffusione della cultura della bici.
Questa è la tesi di una ricerca del 2011.
Due ingredienti necessari: qualità e visione
Se le piste ciclabili non sono di qualità, non sono in connessione tra loro e inserite in un sistema di mobilità che garantisca lo spostamento in sicurezza dall’inizio alla fine, non sono un fattore che determina la scelta di utilizzare la bici piuttosto che un altro tipo di veicolo.
Infrastrutture ben concepite sono essenziali alla ciclabilità sicura, ma la scelta delle infrastrutture da realizzare non deve limitarsi alle piste ciclabili separate. Per questi 2 motivi principali:
- Da una parte, le piste ciclabili in sede protetta possono essere la soluzione migliore per ciclisti meno esperti, ma devono essere presi in considerazione anche il contesto e le abitudini degli utenti.
- In secondo luogo, le piste ciclabili protette che producono separazione dei flussi potrebbero non garantire il raggiungimento di altri importanti obbiettivi come la riduzione dell’inquinamento e strade sicure per ogni persona, indipendentemente dal tipo di mezzo che ha deciso di usare per spostarsi.
Finora ho evidenziato in breve pro e contro delle piste ciclabili in sede protetta e tornerò a parlare di piste ciclabili nella terza parte di questo speciale sulla cultura della bici in Italia.
Nella seconda parte, ti parlerò invece di risparmio, rispetto, figure pubbliche e classi sociali.
2. Cultura della bici significa risparmio per tutti
Aver sviluppato una cultura della bici di grande portata ha per la società olandese un valore economico enorme. Spostarsi in bici è più economico per chi sceglie di pedalare e anche per la società.
Innanzitutto lo spazio di cui necessita una bici è molto meno di quello di un’automobile. Chi si sposta in bici richiede infrastrutture molto meno capaci e costose di quelle che richiede chi si sposta in auto.
Ma anche per quanto riguarda i costi sanitari la mobilità ciclistica ha un importante impatto benefico sulla società.
Cultura del rispetto
La cultura della bici è anche cultura del rispetto reciproco. Si deve formare un patto tra gli utenti della strada.
Di base, nella società olandese c’è un principio di equità e usare la bici significa comunicare la propria normalità e semplicità. Significa dire di non essere più importante degli altri.
È per questo che politici e regnanti olandesi si spostano in bicicletta.
È una forma di felicità condivisa che dà un senso di libertà e non richiede spese particolari.
L’equità è un valore che aumenta il welfare per tutta la società.
C’è un famoso studio condotto da Kate Pickett e Richard Wilkinson secondo il quale l’equità produce una salute e un welfare migliore anche per i più ricchi.
Bici come sport vs bici come trasporto: i VIP
E in Italia? Si è mai visto un Primo Ministro o un Presidente della Repubblica andare a lavoro in bici?
Siamo talmente messi male a livello di cultura della bici in Italia, che persino le associazioni di ciclisti professionisti fanno poco per difendere la bicicletta come mezzo di trasporto.
C’è una distinzione ancora troppo netta in Italia tra chi vede il ciclismo come sport e quelli che usano la bici come mezzo di trasporto.
La bici come mezzo di trasporto manca di testimonial di fama. Solitamente le figure pubbliche che vanno in bicicletta sono cicloamatori (il primo che mi viene in mente è il DJ Linus che ha anche ideato una manifestazione sportiva a Milano, la Deejay 100), o al limite cicloturisti (Filippa Lagerback e Jovanotti).
Non riesco invece a pensare a un personaggio famoso che abbia reso più attraente il ciclismo urbano. Se te ne viene in mente qualcuno, per favore segnalamelo nei commenti!
E solo ora i ciclisti professionisti iniziano a esprimersi in favore del ciclismo quotidiano. Soprattutto attraverso la figura di Davide Cassani, ex ciclista professionista e ora CT della nazionale.
Cassani invoca spesso strade più sicure per i ciclisti, anche se a volte non sembra avere una reale comprensioni di ciò che di cui ciclisti urbani hanno bisogno.
Il cantante Jovanotti (al secolo, Lorenzo Cherubini) è la figura migliore alla quale posso pensare. Ha realizzato dei film e una serie tv dalle sue avventure cicloturistiche e ha creato entusiasmo intorno alla bici, ma come detto questo ha a che fare con il cicloturismo che con l’uso quotidiano della bici.
La bici è per i ricchi?
Secondo una ricerca, in Olanda le persone che vivono nelle aree protestanti usano più spesso la bici delle persone che vivono nelle aree cattoliche. E le persone di origine olandese pedalano di più rispetto alle persone di origine straniera.
Sempre di più, le persone con un livello di istruzione più alto fanno maggiore uso della bici rispetto alle persone con un livello di istruzione più basso.
In ogni caso, in Olanda tutti, indifferentemente dal loro background, pedalano di più che persone con lo stesso background degli altri Paesi.
Sembra che andare in bicicletta in Olanda stia gradualmente evolvendo da un abitudine spontanea e collettiva a un simbolo di informale esclusività della middle-class.
Andare in bici sta diventando un’abitudine da coltivare, uno stile di vita.
Il nuovo status symbol
La classe cosmopolita e creativa è il target delle città di tutto il mondo. E il modo migliore per attrarla è costruire estese reti di piste ciclabili, perché il simbolo, l’hobby e il progetto sociale e politico importante di questa classe cosmopolita, verde, progressista e informale è un simbolo di non ostentazione, di potere che rifiuta di ammettere il proprio potere: la bicicletta.
Insomma, secondo la ricerca ci sarebbe un rischio che da simbolo di equità la bici diventi uno status symbol.
Non avevo mai pensato al fatto che la mobilità ciclistica fosse strumento per attrarre borghesi istruiti. Ma anche tralasciando di tutti i benefici per tutti gli utenti della strada e per la salute pubblica, avere città a misura di bicicletta possa aiutare le classi più povere che non possono permettersi un’auto e tutti quelli che come i rider usano la bici come strumento di lavoro.
La bici come marketing
E un’altra riflessione interessante è contenuta in queste righe:
Per rendere la mobilità ciclistica più attraente, bisogna compiere scelte politiche che facciano diventare usare la bici una scelta più facile che usare l’auto.Click To Tweet
Se la mobilità ciclistica è essa stessa un tipo marketing sicuramente da valutare, far diventare la scelta della bici un no-brainer, farla diventare ovvia, inconsapevole, può essere la chiave del successo della cultura della bici in Italia.
Nella terza parte di questo articolo ti parlerò di come le nostre scelte in fatto di mobilità e il territorio si plasmino a vicenda e di come creare un’alternativa all’uso dell’auto.
3. Cultura della bici, servizi e territorio
L’astuzia di vietare i grandi centri commerciali
In Olanda sono state approvate leggi che hanno proibito la costruzione di grandi centri commerciali nelle periferie delle città.
Potrebbe sembrare una scelta di poco conto, ma ha avuto un impatto enorme per il futuro del Paese.
Lo sviluppo commerciale è stato infatti spinto all’interno dei centri urbani e questo ha permesso la fioritura di supermercati di piccole dimensioni e dei negozi di vicinato in molti quartieri cittadini.
La semplice assenza di supermercati fuori dalla città disincentiva l’uso dell’auto.
Con l’aumento della densità urbana, non è stato più indispensabile possedere un’auto. Le persone hanno avuto facile accesso a tutti i servizi essenziali spostandosi a piedi o in bici.
Questo insegna che per sviluppare una cultura della bici servono due elementi:
- pressione dei cittadini
- politiche lungimiranti
La città dei 15 minuti
Quando ci spostiamo di solito non lo facciamo tanto per fare, ma perché abbiamo un bisogno. Il bisogno di raggiungere un luogo: la nostra abitazione, il nostro lavoro, un luogo dove incontreremo qualcuno o assisteremo a un esibizione, eccetera.
E questo spostamento può avvenire in modi differenti e la nostra scelta dipende dalle caratteristiche del trasporto, ma anche dal territorio.
I costi, la distanza, ma soprattutto i tempi di spostamento restringono le possibilità.
È per questo che recentemente la Sindaca di Parigi Anne Hidalgo ha basato la sua trasformazione della mobilità cittadina sul concetto di città dei 15 minuti.
Se i servizi di cui ho bisogno sono raggiungibili in 15 minuti di pedalata o di camminata, non avrò bisogno di usare l’auto.
La combinazione di piste ciclabili e di quartieri accessibili e serviti è un fattore di successo per la diffusione della cultura della bicicletta.
Alternative all’auto
Il problema fondamentale che bisogna affrontare quando si cerca di liberare un tessuto sociale dalla dipendenza dall’automobile è l’impossibilità di offrire la stessa qualità e accessibilità dei veicoli a motore privati.
La prima cosa da comprendere è che il problema non è un generico bisogno di muoversi, ma la possibilità di intraprendere diverse attività che si svolgono in luoghi differenti.
La mancanza di una cultura della bici non può essere una scusa per non prendere decisioni coraggiose. Perché la cultura può essere modificata, costruendo la possibilità che il cambiamento si verifichi.
Andare in bici non deve essere considerato solo un passatempo o un’attività sportiva, ma deve essere preso in considerazione tutte le volte che si affronta il tema dei trasporti.
La supremazia dell’auto privata può essere messa in discussione grazie all’integrazione tra bici e mezzi pubblici, che renderebbe entrambi più competitivi. Perché autobus e mezzi su rotaia permettono di allungare il viaggio dei ciclisti e le bici permettono di realizzare meno stazioni e fermate, riducendo il consumo di suolo e rendendo più veloci ed efficienti i mezzi di trasporto pubblico.
Va anche ricordato, come dice Paolo Gandolfi, che se alternative valide all’uso dell’auto privata non esistono è perché queste sono bloccate dalla pervasiva e nociva ipertrofia dell’auto stessa. Traduzione: siccome in Italia circolano troppe auto (abbiamo il più alto numero di auto per abitanti d’Europa) i mezzi pubblici diventano inefficienti e la bici (ma in realtà tutti i mezzi che si muovo per strada, auto comprese) sono meno sicure.
Se da una parte, non è rendendo difficile l’utilizzo dell’auto che si rende la bici appetibile, ma rendendo sicuro, comodo e facile l’uso della bici, è vero anche che questa possibilità viene data da un ripensamento infrastrutturale del territorio, che preveda strade adatte a ciclisti, pedoni e mezzi pubblici. E quindi meno disegnato sui bisogni degli automobilisti.
La diffusione bici e mezzi pubblici permette di vivere in un ambiente più salutare e accogliente per tutti.
Ridurre le distanze
Ricapitolando queste sono le dinamiche per cui si rende necessario una nuova organizzazione del territorio che permetta di ridurre le distanze:
- Gli spostamenti individuali sono determinati dall’organizzazione del tessuto urbano
- Spazi ampi comportano che più individui scelgano di muoversi usano l’auto
- Per fare posto al numero crescente di auto, serviranno spazi più ampi (per esempio per parcheggi e per fluidificare il traffico) e questo porterà a distanze ancora maggiori.
- È evidente che le scelte individuali di mobilità e il tessuto urbano si influenzino a vicenda
- Per risolvere questo circolo vizioso bisogna intervenire sia sull’utilizzo che si fa del territorio, sia sul sistema dei trasporti
- La relazione che tra i fattori è complessa e non può essere risolta in modo lineare.
L’immaginazione al potere
Rob Hopkins, fondatore del movimento delle Transition Town, ci dice che grazie all’immaginazione collettiva sono possibili cambiamenti enormi. Sognare un futuro migliore ci permette di sottrarci agli scenari infausti dell’attuale crisi economica, sanitaria e climatica.
E allora noi, il territorio urbano, dove finalmente la cultura della bici ha trionfato, ce lo immaginiamo così:
Le persone si spostano in bicicletta partono da casa su strade tranquille, dove solo le auto dei residenti sono ammesse e devono sempre dare precedenza alle bici e ai pedoni. Dopodiché accedono alle strade principali e pedalano in comfort e sicurezza, separati dal traffico a motore.
Ogni attraversamento pedonale è diventato anche un attraversamento ciclabile sicuro. Gli automobilisti sono consapevoli che a ogni incrocio devono prestare molta attenzione alle persone a piedi e in bicicletta.
In ogni strada dove non è possibile realizzare una pista ciclabile in sede protetta, la velocità massima consentita è di 30 km/h ed è stata tracciata una corsia ciclabile, che non serve solo a disegnare lo spazio per i ciclisti, ma a limitare visivamente lo spazio per le auto e a indurre psicologicamente una riduzione della velocità.
Nella quarta parte dello speciale su cultura della bici affronteremo il tema delle regole.
4. La bicicletta nel codice della strada
Un ciclista assomiglia di più a un pedone o a un automobilista?
Questa è la domanda posta da Marco te Brömmelstroet a un certo punto del corso. E questa è ora la domanda che faccio a te. Prova a rispondere.
Fatto? Allora posso dirti che cosa penso io.
Per me un ciclista non assomiglia molto né a un pedone, né a un automobilista.
Un ciclista e un pedone sono accomunati dal fatto di usare la propria energia per spostarsi. E che entrambi rendono migliore, più bella e più sana la città.
Il criterio della velocità
Ma ciclisti e pedoni spesso non riescono a condividere lo stesso spazio. Alcuni ciclisti per esempio vogliono poter viaggiare a 30-40 km/h e questo rende incompatibili con spazi pedonali.
Resta pur vero che pedoni e ciclisti non inquinano, rarissimamente sono causa della morte di qualcuno per il loro comportamento e occupano molto meno spazio di una persona che scelga di usare l’auto. Ma se di separazione bisogna parlare, allora forse il criterio più adatto per creare una distinzione potrebbe essere quello della velocità: strade per veicoli veloci (per es. veicoli a motore e ciclisti esperti), strade per veicoli lenti e pedoni.
È solo un’ipotesi che azzardo, senza tenere in considerazione molti altri fattori, in primis quello della sicurezza.
Secondo Marco te Brömmelstroet i ciclisti assomigliano molto di più ai pedoni che alle auto anche per le seguenti ragioni:
- capacità di trasporto
- assenza della necessità di una patente per poter circolare
- vulnerabilità, perché entrambi non sono protetti da un esoscheletro di metallo
- percezione del mondo, perché entrambi lo attraversano senza essere rinchiusi in una scatola
La domanda nasce spontanea: se il ciclista è molto più simile al pedone rispetto all’automobilista, perché allora il codice della strada italiano mette insieme bici e auto? Perché il ciclista deve rispettare le stesse regole di un automobilista e non può fare come in Giappone, dove per esempio può circolare sui marciapiedi?
Togliere semafori, togliere regole
Secondo Marco te Brömmelstroet, non solo un ciclista non dovrebbe rispettare le regole di un automobilista, ma non dovrebbero esserci affatto delle regole per circolare per strada.
A supporto di questa tesi, porta il caso di un incrocio, in cui per risolvere un’intersezione molto complicata, che rendeva difficoltoso il transito dei ciclisti, sono stati tolti semafori ed è stata dato più spazio di manovra a tutti gli utenti del piazzale.
La nuova organizzazione ha forzato le persone a entrare in relazione con ciò che le circondava. Hanno dovuto cambiare i comportamenti e le routine in cui erano caduti. Invece di basarsi sui semafori, ora dovevano affidarsi alle proprie capacità e all’interpretazione del comportamento degli altri.
Questo processo di adattamento richiede del tempo e un processo cognitivo complesso. Bisogna mettere in moto i neuroni, i sensi sono stimolati e si devono processare diversi livelli di informazioni.
La maggior parte dei ciclisti si è trovata costretta a rallentare e a comunicare con gli altri ciclisti e gli automobilisti con sguardi, gesti, espressioni del viso e con la voce.
Hanno dovuto attivare un processo di negoziazione, a volte con qualche piccolo diverbio.
I sensi in allerta
Se ci pensi, andando in bici (specialmente in città) questo succede già quotidianamente.
A me capita spesso di fare un cenno di saluto o di intesa a qualche altro ciclista che proviene in direzione opposta, oppure di chiedere permesso a un pedone e di ringraziarlo per avermi fatto spazio. Mentre sono iperattento alle auto che percepisco come un potenziale pericolo.
Nonostante su diversi libretti che pretendono di insegnare la sicurezza stradale ai ciclisti ci sia scritto di cercare il contatto visivo con l’automobilista, questo è molto difficile, schermato com’è da vetri e lamiere. E diventa impossibile se l’auto non procede lentamente.
L’unica interazione veramente possibile è valutare la velocità e la direzione del “mostro” e sperare che al volante ci sia una persona attenta e coscienziosa.
Quando pedalo nel traffico, scansiono costantemente ciò che mi circonda, mi concentro su buche o irregolarità nel terreno, e cerco di anticipare le mosse degli altri.
Mi consolo pensando che tutto questo attiva il cervello e mi rende più concentrato anche una volta sceso dalla bici.
Nella prossima parte di questo speciale sulla cultura della bici, approfondiremo il discorso delle regole e affronteremo la scottante delle multe: è vero che i ciclisti sono indisciplinati e infrangono spesso il codice della strada? Perché nessun vigile sembra mai volerli multare?
5. Perché i ciclisti non rispettano le regole?


Piccoli dissidi tra bici in una cultura auto-centrica
Il cliché vuole che per noi italiani infrangere le regola sia un’abitudine. L’assenza di una cultura della bici in Italia fa sì che ci sia il sentimento diffuso che non si faccia molto per far rispettare le leggi. Salvo poi parlare di “strage di patenti”, se gli automobilisti sono beccati in flagrante dagli autovelox.
E le persone tendono a credere che i ciclisti infrangano le regole più spesso senza mai essere multati.
Quando invece sono gli automobilisti a essere multati, molti si lamentano che la legge sia applicata troppo severamente.
Il modello di pensiero che regola la mobilità ciclistica è fondamentalmente una evoluzione delle teorie sviluppate intorno agli spostamenti in auto. Per esempio, si desume che i ciclisti scelgano il percorso da seguire come gli automobilisti cercando il tragitto più veloce, più comodo e con meno costi.
Tuttavia, i dati raccolti in Olanda, rivelano che questi parametri rispecchiano meno le scelte dei ciclisti rispetto a quelle degli automobilisti. E i loro comportamento è meno prevedibile.
In un sistema dominato dall’auto, la logica di separare le infrastrutture e ridurre la velocità nelle strade residenziali incoraggia le persone a usare di più la bici. Ma quando sono le persone in bici a prevalere, quando è la cultura della bici a dominare, entra in gioco una nuova logica.
Per ricollegarci al concetto proposto nel capitolo precedente, cosa succede se si trattano i ciclisti non come automobilisti lenti, ma come pedoni veloci?
Succede che c’è bisogno di meno regole.
Pensaci, nelle piazze, sui marciapiedi, nelle zone pedonali… quante norme codificate di comportamento esistono per i pedoni?
Perché i ciclisti non rispettano le regole?
Ora ti sarà più facile rispondere a questa domanda.
Se infrangono le regole del codice della strada è perché non sono scritte per loro. I ciclisti sono trattati alla stregua di automobilisti pur essendo più simili ai pedoni.
Per loro infrangere le regole diventa a volte una necessità o addirittura è un comportamento più sicuro che rispettarle.
E comunque, le statistiche dimostrano che non è vero che i ciclisti siano più indisciplinati degli automobilisti, secondo una ricerca danese è l’esatto opposto!
Auto da fè
Ciascuno di noi commette infrazioni al codice della strada. Io ne commetto sia quando vado a piedi, sia quando guido, sia quando vado in bici.
Sono sicuro che se fai attenzione, anche nella tua vita ci sarà stato un eccesso di velocità, anche se solo di pochi km/h, un mancato rallentamento alle strisce pedonali, un passaggio con il rosso (soprattutto a piedi o in bici), una sosta vietata…
Da ciclista confesso che mi capita di non percorrere piste ciclabili, ma lo faccio perché la superficie è disastrata o sono troppo strette e sarebbero scomode e pericolose. Oppure perché sono occupate da persone a passeggio. (Leggi qui per sapere di più sulla pericolosità di alcune piste ciclabili).
Da ciclista mi capita di passare con il rosso, ma lo faccio perché al contrario di quando sono in auto, ho perfetta visibilità della strada che incrocio e non avrebbe senso aspettare un’auto che non sta arrivando e perché superato l’incrocio è meno pericolo per un ciclista essere sorpassato da un automobilista.
Mi capita anche di non scendere dalla bici quando attraverso sulle strisce pedonali, perché è un dispendio inutile di energie fermarsi e proseguire a piedi (e il codice della strada non lo vieta).
La via per la redenzione: come essere un ciclista migliore
Mi aiuterebbe a rispettare il codice stradale avere delle piste ciclabili confortevoli, veloci e pulite come la carreggiata riservata alle auto.
Sarei un ciclista migliore, se fosse consentito, come avviene altrove, passare con il rosso se si svolta a destra o si va dritto.
Aiuterebbe anche che fosse reso chiaro che un automobilista deve rallentare a ogni attraversamento pedonale e lasciare passare prima anche i ciclisti. Ogni attraversamento pedonale, in sostanza, dovrebbe diventare un attraversamento ciclopedonale.
In fin dei conti, l’infrazione del ciclista non può davvero essere considerata inaspettata e inevitabile da un automobilista. Restrizioni legali al comportamento del ciclista possono solo causare una diminuzione dell’uso della bici (come successo in ogni Paese dove per esempio è diventato obbligatorio l’uso del casco) con nefaste conseguenze sulla salute e sull’economia della comunità.
Questo video aiuta a comprendere meglio perché le infrazioni compiute dai ciclisti sono solitamente poco gravi.
6. Auto e bici: due pesi e due misure
Tutti commettiamo infrazioni.
Il 98% dei pedoni, il 96% dei ciclisti e il 100% degli automobilisti ammette di compiere infrazioni al codice della strada.
A quasi tutti è capitato di attraversare a piedi dove non era consentito, non fermarsi a uno stop, non mettere una freccia, superare anche se di poco i limiti di velocità. E la maggior parte delle volte non abbiamo affrontato conseguenze legali.
La società tende a considerare queste infrazioni minori, che a tutti capita di fare, come normali o addirittura razionali.
Quando è un ciclista invece a infrangere le regole, è attaccato con maggiore veemenza.
A me è successo più volte e credo che questo sia capitato anche te, come è successo a molti dei miei conoscenti.
I motivi per i quali si compiono scorrettezze
La differenza pare risiedere casomai nei motivi di queste “scorrettezze”.
Gli automobilisti infrangono le regole per risparmiare tempo. I ciclisti lo fanno per sentirsi più sicuri e risparmiare energia.
In ogni caso, quando un automobilista compie un’infrazione, giustifica il fatto in base al tempo risparmiato. I ciclisti motivano i loro comportamenti scorretti in ragione di una maggiore sicurezza personale e a un risparmio di energia.
Per esempio fermarsi a un semaforo o a uno stop, per un automobilista può essere uno spreco di tempo, mentre per un ciclista vuol dire anche dover mettere il piede a terra, perdere l’abbrivio e rispingere sui pedali per riacquisire la propria velocità di crociera.
Rallentare, invece che fermarsi del tutto permette al ciclista di risparmiare il 25% della propria energia.
(Tra parentesi. Una ricerca australiana di una decina di anni fa dimostra che i ciclisti che passano con il rosso sono molti di meno di quello che gli automobilisti credono di percepire.)
Su strade pericolose, i ciclisti si sentono obbligati a salire sui marciapiedi anche se ciò non è consentito, perché non vogliono correre il rischio di essere investiti.
Il fatto è che l’attuale sistema di trasporti non è stato pensato per le biciclette e i ciclisti sono spesso impegnati a cercare di sopravvivere in un ambiente ostile.
Entrambe le categorie ammettono poi di compiere infrazioni anche per il solo gusto di farlo.
La percezione del rischio
C’è un altro fatto poi da considerare.
I ciclisti raccontano dei rischi che hanno corso dei loro spostamenti, più spesso di altri utenti della strada.
Si tratta di eventi che li mettono a disagio, fino al punto di voler abbandonare la bicicletta come mezzo di trasporto.
Anche se gli incidenti non sono così frequenti, la pericolosità delle strade non permette la diffusione della bici come mezzo di trasporto e costituisce una barriera all’ingresso per altri potenziali ciclisti, che continuano a usare l’auto.
Ciclisti razza strana?
I mezzi di informazione sono un’ottima cartina di tornasole per capire come la nostra cultura vede. Nei film, chi va in bici piuttosto che in auto è di solito un emarginato, mentre le persone li vedono comunemente come “talebani dell’ecologia”, “mezzi matti” o “uno spreco di spazio” che evidentemente dovrebbe essere destinato alle auto (come se non ne avessero già fin troppo nelle nostre città).
Questi pregiudizi tengono lontane due esperienze della strada che potrebbero essere avvicinate, se solo più automobilisti usassero la bicicletta.
Questo permetterebbe loro di fare esperienza delle difficili condizioni in cui si muovono i ciclisti nelle nostre città e dimostrerebbero una maggiore empatia e comprensione nei loro riguardi.
Da qui si vede l’importanza di qualsiasi misura che permette l’aumento dei ciclisti, dalla costruzione di infrastrutture adeguate alle campagne di comunicazione, dall’organizzazione di eventi all’incentivazione economica.
E ribadiamo l’importanza dello stanziamento di fondi per infrastrutture di qualità, che facciano percepire che i ciclisti sono tenuti in considerazione dai decisori politici e non una minoranza alla quale elargire premi di consolazione.
Benefici della bicicletta spesso ignorati
Tornando alle infrazioni e alla considerazione degli automobilisti, questi ultimi credono che per essere presi sul serio i ciclisti devono rispettare le regole come tutti gli altri utenti della strada e che le forze dell’ordine debbano intervenire di più nei loro riguardi.
Il problema è che le ricerche dimostrano che gli automobilisti infrangono il codice quanto se non di più dei ciclisti. Inoltre, i danni causati dal cattivo comportamento delle persone alla guida di auto sono molto maggiori dei costi per la società causati dai ciclisti e che le infrazioni di un automobilista crea rischi maggiori di quelle di un ciclista.
Un altro aspetto che molti ignorano è che andare in bicicletta non è solo un’attività fisica, ma pedalare, soprattutto nel traffico, ha effetti benefici sull’attività mentale e cognitiva di chi pedala.
Prestare attenzione agli altri ciclisti, alle auto, ai segnali stradali e prendere continue decisioni li rende attivi. I continui stimoli a cui sono soggetti migliora le proprie capacità cognitive, perché bisogna rimanere aperti a ogni forma di interazione.
Per molti pedalare è un modo per stimolare la propria creatività.
Usano tutti i segnali di cui dispongono per fare delle scelte fino a che molti di loro si sentono felici di pedalare in zone caotiche e se potessero sceglierebbero di creare contesti con meno regole e meno dispositivi di sicurezza.
Abbracciare la cultura della bici
Anche se nell’opinione pubblica i ciclisti non rispettano le regole, i dati dicono che gli incidenti che li vedono coinvolti sono molto bassi.
È molto difficile in un ambiente e in una cultura dominata dall’auto capire l’organizzata complessità in cui si muove un ciclista.
Hai mai visto un incrocio di Amsterdam all’ora di punta?
Chi non è un esperto ciclista urbano è portato a chiedersi:
- come mai non usano il casco? (visto che la maggior parte dei traumi cranici avviene in auto, come mai non lo si usa in auto, ci si dovrebbe chiedere!)
- perché vanno contromano?
- perché ignorano gli stop?
Provando ad andare in bici nel traffico, abbracciando la cultura della bicicletta, lo capirà.
7. Principi pratici per la diffusione di una cultura della bici in Italia


Spostare l’attenzione all’intero sistema dei trasporti
Nel progettare la mobilità urbana, le infrastrutture per le biciclette hanno avuto molta più attenzione che il design di una rete e di una prospettiva più ampia riguardo la pianificazione dei trasporti.
Spesso ci si focalizza unicamente sulla qualità della singola infrastruttura e si tralascia di considerare l’utilità dell’intero sistema.
Non sempre i ciclisti hanno bisogno di quartieri, infrastrutture o processi disegnati per le loro specifiche esigenze (ancora meno abbiamo bisogno di quartieri, infrastrutture e processi dedicati a ogni singolo utente della strada). Tuttavia i ciclisti devono essere tenuti in considerazione come utenti di diversi tipi di ambiente.
Mettere al centro l’esperienza di chi va in bici
Trovo che in Italia le persone in bicicletta non siano tenute in molta considerazione quando si progettano gli spazi pubblici. E quando succede, a volte lo sono a discapito delle persone a piedi, per cui i marciapiedi sono dipinti di rosso e trasformati in piste ciclabili e così facendo si genera un conflitto tra utenti deboli della strada.
Oppure si creano pezzi di piste ciclabili protette che però non sono connessi tra loro e terminano in modo brusco a volte su strade pericolose.
Piste ciclabili di eccellenza devono essere in grado di attrarre i ciclisti, mentre spesso succede che li respingano e i ciclisti preferiscano non percorrerle e usare la carreggiata insieme alle auto.
Cosa rende buona una pista ciclabile?
La definizione di una “buona” infrastruttura è di solito qualcosa che ha a che fare con il lato ingegneristico della pianificazione: una buona infrastruttura deve essere costruita con il tal materiale, deve avere la tale larghezza, deve essere separata con il tal manufatto, della altezza tale e sopportare la tal mole di traffico…
L’esperienza di utilizzo, la sua piacevolezza estetica non sono minimamente considerate. È ora di iniziare a farlo: e se ci fossero più alberi, più ombra o più luce, una bella vista?
L’esperienza degli utenti conta più dei manuali
Se la sicurezza è la caratteristica più frequentemente invocata dagli utenti delle infrastrutture ciclabili, per rendere attrattive sono necessari anche il verde, l’assenza di rumore, il clima, il paesaggio, gli odori e l’assenza di traffico.
Le linee politiche, le policy, determinano gli obbiettivi da raggiungere e i manuali tecnici cercano di tradurre queste visioni e questi obbiettivi in progetti fisici.
Ma spesso questo non basta.
Non va dimenticato per chi si costruiscono le piste ciclabili e per chi si progetta la viabilità. Bisogna dare meno importanza ai numeri e alle regole e fare attenzione piuttosto alla user experience. Le norme forniscono utili indicazioni, ma non dovrebbero contare più dell’esperienza. Ogni situazione va trattata in modo specifico.
Spesso non basta nemmeno che i progettisti traggano ispirazione dalla propria esperienza di ciclisti, perché la user experience di cui parliamo deve tenere conto della prospettiva di diversi gruppi di utenti.
Non nascondersi dietro le regole
In base alla mia esperienza, la responsabilità della mancata attuazione ricade spesso sui funzionari, che hanno paura di assumersi il rischio di fare qualcosa di nuovo e si rifugiano dietro le regole.
Vale la pena ricordare loro che se qualcosa non è previsto dalle attuali norme, non significa che non si possa fare. E che se le scelte sono giustificate, si possono attuare anche se in apparente contrasto di forma con alcune regole.
E abbiamo visto in più occasioni nel corso di questo articolo, quanto fallace possa essere il codice della strada.
Perché una cultura della bici
Concludo questo lungo resoconto di ciò che ho imparato dal corso dell’Urban Cycling Institute di Amsterdam, ricordando perché è importante portare questa cultura anche in Italia.
La cultura della bici permette di ridurre l’uso dell’automobile e aiuta a promuovere l’attività fisica, la sostenibilità ambientale, la crescita economica e l’accessibilità.
Quando si pianifica una città e quando si chiede maggiore attenzioni ai ciclisti si deve ricordare che questi sono gli obbiettivi della promozione della mobilità ciclistica e dello sviluppo di infrastrutture per i ciclisti.
Insistere su questi punti può aiutare ad attuare il cambiamento.
Per non perderti gli articoli migliori del mio blog iscriviti ora alla newsletter mensile.
Aiuta Bike for Good a portare la cultura della bici in Italia, diventa un sostenitore!
Claudio Bisio è stato testimonial dell’evento Bimbimbici nei primi anni 2000.
Qui un comunicato stampa del 2002 con un paio di suoi virgolettati: http://www.fiab-onlus.it/mlfiab_2/view2.php?mid=61
Ricordo anche un’intervista a Elio qualche anno dopo su un giornalino free press (Metro o simile) che diceva cose simili ma con toni leggermente più “allarmistici”.