Gravelness69 in bici tra fango e realtà
Come si racconta un percorso gravel?
22/1/23 ore 8:30
Sulla strada per Pogliano Milanese, aria calda sui finestrini per spannare.
Foschia, freddo, parcheggio del centro sportivo, ciclisti che si preparano impacciati e assonnati.
Come si racconta un’avventura, una gita domenicale, un percorso gravel?
Come si raccontano immagini, suoni, luci, odori, sapori, e la fatica e il freddo e il fiatone?
Lo stupore che incalza da dietro la curiosità.
Novecento guarda giù dal piroscafo Virginian e non comprende l’intrico di strade, il gomitolo, la matassa di incroci: è questa la sensazione alla partenza della Gravelness69.
Un gusto diverso da quello che si sente sulla soglia di casa, quando si sta uscendo per un giro randagio senza meta. E diverso ancora da quello che si prova quando si sta uscendo per allenarsi, o per seguire la solita traccia, che già porta il segno dei tuoi copertoni.
Nel piazzale della registrazione, il freddo è lì a batterti sulla spalla, ogni volta che per errore ti muovi troppo velocemente o esci dal gruppo dei ciclisti, ammassati come i Pinguini Imperatore. Barbe, baffi, signore e signori, giovani, bici pazzesche e più discrete, qualcuno sgranocchia una Melinda.
Partecipare agli eventi organizzati ti permette di non pedalare con il consueto gruppo e, ovvio, di far massa critica, di essere più visibile e più sicuro (Jacobsen 2003, Safety in numbers).
La maggior parte degli eventi gravel hanno un costo di iscrizione simbolico, utile a coprire i rifornimenti e il pacco gara. Nel caso di Gravelness69 il supporto è garantito dai banchetti a lato strada, al km 12 e al km 40, caffè e brioche a Vigevano, dalle barrette e bibita nel “pacco gara”, dalla minestra a fine giro.
Guido “Gatto delle nevi” è arrivato più tardi di me, super fiero della nuova borsettina da manubrio sulla sua gravel ammortizzata, già travestito da Diabolik per scappare dal freddo.
Partenza della Gravelness69
Dopo qualche minuto in attesa, ingannato con il bike watching, al suono dell’armonica blues viene tagliato il nastro.
Una colonna sonora blues come Cowboy Bebop, e la Kona Rove subito si trasforma nella Swordfish II dell’anime giapponese.
Le estremità del corpo rimangono fredde. Penso: “Ma chi me lo ha fatto fare?” Il freddo ti stordisce i pensieri.
Anche per quelle che colano dal naso non c’è differenza: tra stalattiti e stalagmiti cambia solo una “m”.
Qualche antico signore affronta con noi l’aria piena di coltelli, ma non riconosco subito il loro travestimento da spettatori delle partite di calcetto all’oratorio. Poi mi appare Carletto Mazzone con cappellino seduto in panchina.
Provo a frullare e stare nel gruppo, ma un manipolo di smilzi, incluso il Dottor Guido, si stacca presto e va all’attacco, prima dell’asfalto, e poi del fango. Io rimango come di consueto nel mezzo, a far foto, a succhiar ruote, a cercare qualche scatto, e a scattare per rientrare.
Una vita da mediano
Con dei compiti precisi
A coprire certe zone
A giocare generosi
La presenza femminile sembra sempre crescente, ragazze, sciure in Surly (Sciurly), smilze che ti sorpassano e ti staccano in agilità, sgambettando sulle ruote infangate.
La cultura del ciclismo non è solo legata all’attività sportiva o ricreativa, ma anche all’uso quotidiano nelle faccende pratiche… Ad ogni modo spero che le due siano legate e si possano vedere sempre più signore anche in città. Perché? Una città sicura per loro è sicura per tutti.
La bici fa rima con avventura. Uscendo dal tratto più urbano, raggiungiamo il Canale Scolmatore di Nord-Ovest.
Il fango ancora denso dei suoi argini, la poca acqua scura che rimane ad imitare il cielo coperto.
Sorpasso un ciclista a piedi per una foratura, ma ha tutto il necessario per la riparazione e lo lascio divertirsi. Mi fermo più avanti anche io, a guardare le betulle, colonne spoglie e ordinate in fila di un qualche duomo con un soffitto di nuvole.

Colonne spoglie di un qualche duomo con un soffitto di nuvole
Colori, suoni e pennuti
La paletta colori è quella della brughiera di Paint, versione Office 95.
Il gruppo non parla, impegnato a trovare l’equilibrio nella terra smossa, nelle pozzanghere coperte da un sottile strato di ghiaccio vetrificato, che suona come le Pringles al passaggio delle gomme.
Qualche audace si è presentato con una city bike, con gomme stradali e i parafanghi; qualcun altro sorpassandomi riconosce la Kona e le riferisco i suoi apprezzamenti.
I miei copertoni gravel fanno rimpiangere qualche gomma più artigliata.
Un trattore con cisterna solleva quel poco di polvere secca, e i ciclisti in gruppo dietro a respirarla, la stessa che viene sempre maledetta in città, che sale dai cantieri e che sporca i vetri neri nei parcheggi. Il passaggio dei trattori vede aironi, egrette, guardabuoi, ibis, fucili migratori.
Come alla Bergamo Gravel 2022, anche i pappagalli autoctoni fanno la loro comparsa.
In mezzo alla campagna, apparentemente lontano da chiunque e qualsiasi cosa; sono tre o quattro, di colori diversi e accesi, di vaste proporzioni e svettano dai loro trespoli, cui sono legati ad una zampa. Uno di loro spaventandosi cerca di librarsi ma torna indietro modello yo-yo.
Mi lasciano la sensazione dei polli arrosto di Giannasi, e il padrone ridanciano non mi convince del tutto. Li avrà messi lì l’organizzazione? ESOTICO.
Chiese e abbazie
All’altezza del mulino di Albairate incrociamo un altro argine: è quello del Naviglio Gange e lo seguiamo fino al ponte di Cassinetta, dove attraversiamo per dirigerci di nuovo a Sud in direzione di Abbiategrasso. Guardiamo incuriositi i passeggianti nel centro città, e riceviamo occhi spalancati:
perché già dalla prima trincea
ero più curioso di voi,
ero molto più curioso di voi.
Prendiamo il naviglio di Bereguardo per un breve tratto, arrivando al secondo ristoro in Abbazia.
Ci sparpagliamo nel borgo acciottolato. I mattoni della Chiesa ci guardano e sorridono, scandendo con il loro ghigno abbronzato “non sogni, ma solide realtà”.
Al banchetto del ristoro ci si ferma per scaldarsi, sgranocchiare qualche biscotto e riparare le forature.
In mezzo alla campagna il Garmin segna i tratti più freddi, e sono davvero freddi, lenti e scivolosi. Poco più avanti imbocchiamo il tratto meno piacevole, prima costeggiando, poi direttamente sulla provinciale 494, passaggio reso obbligato dal ponte sul Ticino.
Piazza Ducale
I due percorsi, corto e lungo, si dividono. Qui si comincia a soffrire sul serio.
Zig zag nelle vie di Vigevano fino all’arrivo in Piazza Ducale.
È mezzogiorno e suonano le chiese.

Vigevano, Piazza Ducale
Sono passati solo 55 km e comincio a sentire il richiamo del pranzo, come una lontana eco di fame, che rimbomba dallo stomaco vuoto. Tentenno di fronte al sipario della Cattedrale, che ricorda davvero un palco di teatro, con gli ingressi dalle cortine delle quinte.
I ciclisti urbani evitano l’acciottolato e seguono in fila i lastroni di pietra al centro dello spiazzo.
Alla fine evito il caffè rinforzato: non ho voglia di fermarmi e mi accorgo di essere già nella modalità risparmio energetico. Voglio arrivare alla fine prima possibile e mi concedo una mezza barretta.
Ragazzo di campagna
Il percorso vira a nord, seguendo la strada che porta a frazione Buccella e al suo gruppetto di edifici intorno alla Chiesa dell’Immacolata, un percorso asfaltato e con poche auto.
Sulla destra una cappella diroccata in mezzo al campo sporge dietro a due cipressi. Due smilzi mi raggiungono: “Ti seguiamo un po’” “No, mi sa che fra poco mi superate!”, e così accade.
La campagna è senza alberi, e la strada senza asfalto. Non credo sarebbe tanto piacevole nel pieno dell’estate, ma al momento il cielo rimane coperto e le gomme adesive al terreno.
Supero Villareale e riconosco il luogo: mi ero già perso qui, solo pochi mesi fa durante la Novaremberg.
Proseguo verso il fiume, supero anche la Madonna di Monterocco, e seguendo le sterrate intorno alle cascine incontro Renato Pozzetto in Apecar, sconfino in Piemonte ed entro nel Parco del Ticino.
Il “ragazzo di campagna” ha sempre cascine diroccate intorno, ma ormai il treno non passa più, è stato sostituito dagli aerei low cost in avvicinamento a Malpensa.
Deve essere stato qui che ho trovato i residui di qualche tempesta, scavalcando le piscine di fango in punta di ruote, sperando di non abbronzarmi all’improvviso la faccia.
Qualche cascina ha aperto le stalle e le vacche curiose si avvicinano al piccolo recinto.
Un vecchio bianco per antico pelo sorride uscendo per la campagna, arrampicato sul sedile del trattore scoperto, suo coetaneo. Pare dire: “Felici voi, anime brave!” Il suo cane smette di abbaiare solo quando si ferma per far sfilare il gruppetto.
Il bosco del parco del Ticino mi appare come le foreste nei film americani, ambientati nel Sud, dove i colli rossi distillano clandestinamente moonshine. Pesca sportiva, bar e chioschi chiusi durante il fuori stagione, automobili in camporella che cerco di lasciarmi velocemente alle spalle.
Mi fermo per un caffè ed un refill di acqua in una Osteria con ampio parcheggio. È l’una e le compagnie si fermano per il panino sacrosanto sui tavolini all’aperto. Cerco di non attardarmi nella calca al bancone e riparto dopo poco: mancano ancora 40 km e più. Sono quasi alla frutta e i gruppi continuano a superarmi. Mi fermo per registrarli mentre passano di fronte ad una cascina con un piccolo trattore Ford parcheggiato.
Google, libertà e la dolce vita
Anche volendo seguire la traccia su Google Maps, alcuni tratti non sono fotografati, altri sono così stretti che non sarebbero nemmeno accessibili dall’auto di Google. Forse la libertà che ci rimane consiste nel non vedere online la realtà che abbiamo vissuto.
No: nemmeno questo ormai. Google manda in giro ciclisti con casco giocheria e zaino paracadute con teleobiettivo. Per lo meno le immagini sono di bassa qualità e storte.
I tratti sterrati sono ormai lentissimi, e mi scambio con un collega su una Locomotive e manubrio con flare aggressivo. Ci daremo un cambio inconsapevole fino all’arrivo, io mantenendo un ritmo di sussistenza, lui sbagliando a volte strada e tornando indietro.
Seguiamo sempre canali placidi e ad un certo momento usciamo dal bosco, troviamo qualche costruzione e finalmente riattraversiamo il Ticino sul ponte di Galliate, a due piani, con il superiore riservato al passaggio ferroviario.
Pedaliamo ora dietro alla Colonia Fluviale su un alto argine boscoso, single track facile e senza altri ciclisti. Le acque sono veloci e disegnano anse sinuose blu oltremare, ne senti il richiamo e sembra di vedere Anita Ekberg che dice “Marcello! Come here!”
Ci sono famiglie che passeggiano dopo il pranzo domenicale, intontite dal sole.
Il mio amico fragile mi sorpassa appena prima dell’unico vero strappetto della giornata, che percorro ignominiosamente a piedi. È il punto più a Nord.
Le indicazioni sulla ciclabile lungo il Canale Villoresi mi fanno presentire un profumo di pranzo a metà pomeriggio.
La minestra proteica è la mia unica ragione negli ultimi km, la visualizzo ormai circonfusa di luce, calda fumante. Non mancano altri gruppetti di smilzi che vanno a tutta, succhiandosi la scia sul brecciolino compatto.
Non ne ho davvero più e mi trascino solo per esercizio di volontà. Cerco di mantenere una media simbolica fino all’arrivo al Paddy Cullens, vera oasi di ristoro: zuppa calda con legumi sognata da 30 km, birra bionda ai sali minerali, panino reso invisibile in un sol boccone.
Pagella della Gravelness69
Partecipazione: ISTITUZIONALE
Tutte le età, a partire dai 30 anni; presenza femminile in aumento. Qualche entusiasta con bici mtb del 26, che definire vintage è riduttivo, un paio di non-gio eroici con city bike (underbiking), e qualche altro con mtb moderne. Alcune gravel carenate da avventura erano forse anche troppo (overbiking). Il gruppetto degli smilzi in fuga è sempre presente. In generale, è proprio il senso di partecipare a eventi come questi, il poter conoscere luoghi diversi in compagnia, conosciuta o sconosciuta. Il fango e gli uccelli esotici fanno parte del plus da raccontare la mattina dopo in ufficio.
Ristori: AGOGNATI
Non è sicuramente facile trovare i punti giusti lungo un percorso di 120 km. Forse sono stati pensati più per chi percorreva gli 80. Le barrette fornite sono state comunque fondamentali, golose e ciccione: consumati alla fine due gel e quattro barrette, insieme a due borracce.
Percorso: TEATRALE
Percorso praticamente pianeggiante, ma da non sottovalutare, per la distanza e la temperatura. Il fango denso della mattina si è poi disciolto negli ultimi tratti, facendo slittare sempre più i copertoni gravel e sognare per quei tratti una gomma tassellata. Sono stati i primi 120 km dell’anno, con un freddo non definitivo e una stanchezza finale superabile.
Organizzazione generale: DA SPARTITO
Blues, compagnia, cortesia e ampio parcheggio. Un bello spettacolo.
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