Incidenti o violenza stradale? Serve un nuovo modo di raccontare i morti in strada
E se gli incidenti stradali fossero colpa anche dei giornalisti che li raccontano?
Qualche giorno fa è stato segnalato nel gruppo facebook che amministro la notizia della morte di una persona in bicicletta.
Il titolo, come spesso succede, parla di “scontro con un’auto”. Ma se poi si legge l’articolo viene fuori che l’automobilista non ha rispettato una precedenza e ha travolto una donna in bicicletta.
Quindi, quando il giornalista parla di “scontro“, un avvenimento che sembra casuale, si riferisce in realtà a un omicidio. Tanto è vero che scrive che la persona alla guida dell’auto “verrà indagata per omicidio stradale”.
È un atteggiamento molto diffuso quello dei giornalisti di mostrarsi clementi verso chi commette violenza stradale, di trattare gli incidenti come fatti imprevedibili e tentare di addossare la loro responsabilità a oggetti inanimati (“auto impazzita, dosso killer…”), quando le cause sono di solito la disattenzione del guidatore o l’eccessiva velocità.
Un malcostume che non è solo italiano, come dimostrano articoli stranieri sul tema, ma che in Italia è ancora poco denunciato.
È un fatto grave, perché il linguaggio usato nel raccontare gli incidenti ha un impatto sulla stessa sicurezza stradale.
Come si raccontano gli incidenti influenza il nostro comportamento
Per esempio, secondo uno studio britannico, la rappresentazione dei ciclisti è negativa il 61% delle volte che vengono menzionati e fa riferimento alla loro supposta pericolosità, al cattivo comportamento e perfino alla criminalità.
Questo nonostante le persone in bici siano più rispettose di quelle alla guida di automobili.
Il linguaggio usato dai giornalisti incide sul modo in cui i lettori attribuiscono la responsabilità dei fatti e forma il loro comportamento nei confronti degli altri utenti della strada.
Non solo, il loro linguaggio influenza il lavoro di Forze dell’Ordine e Magistrati che si occupano di giustizia stradale. Diffondere una cultura per cui la responsabilità è spostata verso gli utenti deboli della strada, determinerà giudizi più severi nei confronti di persone in bici e pedoni.
Questa distorsione può portare in alcuni casi ad atteggiamenti aggressivi sia sulle strade, dove spesso persone in bici sono bullizzate da persone in auto, sia sui social. Come è successo a una persona che, a commento di una notizia di cronaca, scrisse “investirne uno per educarne cento” e che fortunatamente è finito sotto processo per istigazione alla violenza.
Gli incidenti sui giornali olandesi
Marco te Brömmelstroet, professore di Urban Mobility Futures, ha condotto una ricerca sui giornali olandesi che ha prodotto risultati simili:
- Nel racconto degli incidenti viene nascosto l’elemento umano e i fatti sono descritti come imprevedibili.
- Gli incidenti sono presentati come casi singoli e non come fenomeno di larga scala.
- Uno dei protagonisti dell’incidente è solitamente un veicolo e non una persona.
- Nei titoli non è descritto il fatto ma le sue conseguenze.
- Sorprendentemente, quasi un terzo degli articoli non cita l’uccisione o il ferimento della vittima. Toglie cioè del tutto il fattore drammatico dal racconto.
- Dal titolo, l’incidente risulta causato da un veicolo (“auto si scontra con…” e non “persona alla guida di un’auto…”), mentre solo la vittima è rappresentata come persona.
- Solitamente il titolo ha una costruzione passiva (“ciclista investito” e non “automobilista investe ciclista”) e descrive la conseguenza dell’incidente più che l’incidente (“code per incidente” o “ciclista muore in seguito a incidente”).
- Il 60% degli articoli non contiene dettagli riguardo la vittima o altre persone coinvolte.
- Lo stile degli articoli assomiglia più alle previsioni meteorologiche che non a storie drammatiche.
- E il problema generale, quello della sicurezza stradale, delle condizioni che generano gli incidenti, numeri e statistiche sugli stessi non sono quasi mai contemplati.
Quale strage?
Il primo di ottobre, l’Università di Pisa ha organizzato il convegno “Rinnovare la mobilità urbana. Strumenti e comunicazione per una città sostenibile e sicura”.
L’architetto Matteo Dondé, come spesso nei suoi interventi, ha ricordato che in Italia avviene il triplo degli incidenti rispetto alla Gran Bretagna e che la maggior parte dei pedoni morti sono investiti sulle strisce pedonali.
A proposito di resoconti giornalistici, ha citato il caso di un articolo sulla morte del campione di handbike Andrea Conti, dal quale, dopo la pubblicazione è stata espunta la frase che incolpava un guidatore.
La stampa incorre spesso nell’increscioso vizio di demonizzare strumenti atti al rispetto delle regole e alla tutela degli utenti della strada: le multe secondo alcuni servono a “far cassa” e gli autovelox sono rei di una “strage di patenti”, quando è una strage di vite umane quella che si compie sulle strade.
Dondé auspica che si incomincia anche da noi a parlare come si fa all’estero di “violenza stradale” e di usare campagna shock come quella con video di bimbi investito dalle auto.
Incidenti stradali “senza colpa”
Silvia Bencivelli, giornalista scientifica e conduttrice radiotelevisiva, ha ricordato che sono 1,3 i milioni di morti all’anno per incidenti nel mondo. Il 93% dei quali in Paesi a reddito medio-basso. Dato che fa riflettere sul tema dell’ineguaglianza anche di fronte alla sicurezza stradale.
Bencivelli ha citato uno studio americano sulla narrazione giornalistica (Editorial patterns in bicyclist and pedestrian crash reporting) che conferma che si cerca sempre una colpa esterna ai guidatori e si parla di un incidente alla volta, ignorando contesto di una strage quotidiana.
Le case automobilistiche hanno lavorato perché la narrazione degli incidenti non presentasse sotto cattiva luce le auto. D’altra parte, anche ora i maggiori sponsor dei giornali sono case automobilistiche.
Discolpare il guidatore innesca un meccanismo di autoassoluzione perché inconsciamente discolpa anche noi che siamo automobilisti.
Oppure, sempre per discolparci, si sottolinea la diversità del guidatore (“marocchino”, “albanese”, ecc.). Al limite si ricorre all’espressione “pirata della strada”.
Quando le cause sono esplicitate, si citano alcool e droga, che sono in realtà responsabili solo del 3% degli incidenti.
Marco Scarponi, fratello di Michele, ciclista professionista ucciso (non semplicemente “morto”) mentre si allenava, si è indignato perché non si usano video shock per la pubblicità, ma si trovano in rete le foto del fratello morto.
Linee guida per i giornalisti
Al termine del convegno sono state proposte questi principi sui quali basare una corretta narrazione dei sinistri (termine preferibile a “incidenti”):
- Accuratezza,
- Raccontare anche dopo mesi gli accertamenti di responsabilità,
- Ricordare statistiche e contesto (per non colpevolizzare le vittime),
- Narrazione ampia del problema, far parlare esperti,
- Non generalizzare (non usare categorie di utenti come “i ciclisti”),
- Non parlare di cose (non attribuire la colpa a oggetti inanimati) ma di persone,
- Non mostrare accondiscendenza per chi viola legge (per esempio, non parlare male degli autovelox).
Simili le linee guida per la narrazione dei sinistri stese da Laura Laker dell’Active Travel Academy inglese, che includono questi punti:
- Accuratezza nel dire quello che si conosce e quello che non si conosce;
- Parlare di collisione invece che di incidente fintanto che non si sa come sono andate veramente le cose;
- Parlare delle persone e non del mezzo che guidavano;
- Considerare l’impatto che dettagli crudi possono avere sui famigliari;
- Essere cauti nel pubblicare foto e filmati che possano identificare le vittime o esprimere un giudizio su di loro;
- Raccontare dei disagi al traffico causati dal sinistro non dovrebbe far passare in secondo piano l’evento drammatico;
- Non riferirsi alle persone coinvolte come appartenenti a un gruppo (“ciclisti”);
- Menzionare trend e statistiche;
- Non far passare come accettabili comportamenti criminali e pericolosi come l’eccesso di velocità, né tantomeno far passare come vittime i trasgressori multati;
- Includere il parere di esperti per chiarire il contesto e dare consigli sulla sicurezza stradale.
I giornalisti dovrebbero trasformare il resoconto del sinistro in un racconto di storie umane (non di dossi o incroci) e stare attenti a non usare un linguaggio discriminatorio, che potrebbe incitare al risentimento per alcune categorie di utenti.
Non dovrebbero fare riferimento all’uso o meno di equipaggiamento protettivo degli utenti deboli della strada, perché raramente la presenza o assenza di un giubbino ad alta visibilità è rilevante nella dinamica degli incidenti.
Tutte queste accortezze potrebbero invitare a un atteggiamento più attento e rispettoso nei confronti di tutti e fare in modo di scardinare il pregiudizio, testimoniato dai ricercatori, per cui per gli utenti della strada c’è una gerarchia che fondamentalmente dipende da grandezza del mezzo utilizzato. Più è grosso il mezzo che si usa, più si ha diritto alla strada.
Grazie di aver letto l’articolo per intero. Ti chiedo di aiutare a diffondere queste idee e condividere l’articolo per avere strade più sicure.