Viaggio in bici con De André, da Cremona a Ostiglia
Dopo la prima tappa Milano-Cremona, Davide Zeno Ferrari ci racconta la seconda tappa del suo viaggio in bici da Milano al mare accompagnato da De André.
Seconda tappa
23/08/2020 Cremona – Ostiglia
150km
La mattina del secondo giorno. La sveglia suona relativamente presto. Rimango a fare le fusa alle coperte per una mezz’ora ma poi sono costretto a svegliarmi.
La colazione infatti non viene servita nel piccolo locale al piano meno uno ma direttamente in camera, ad un orario fissato la sera prima: assai sostanzioso, forse un po’ triste, ma necessario.
Conservo qualcosa per la giornata e divoro tutto il resto. L’alimentazione e l’idratazione sono un chiodo fisso: pedalando tutto il giorno e con le alte temperature non ho tempo e voglia di pranzare seriamente, mentre per riempire le borracce scruto di continuo la campagna in cerca di fontanelle, e lo faccio con gli occhi di Clint Eastwood nella Trilogia del Dollaro.
La sera prima ho lavato tuta e maglietta in doccia e sono solo leggermente umide. Non è influente dato che mi aspetto caldo da subito.
Ricompongo le borse e caracollo a recuperare la bicicletta in deposito. L’albergo non ha un parcheggio chiuso riservato alle biciclette, ma mi ha indicato un angolo nel disimpegno vicino le cucine, dove posso rimontare il bagaglio in tutta tranquillità prima di rimettermi in strada.
Il centro di Cremona la mattina di domenica è lento, come in tutte le città e paesini fuori dalle metropoli. Con la poca gente in giro, apprezzo le piazzette, le stradine lastricate, l’ombra che sbuca dai cortili e vie laterali.
Navigatori, gioie e dolori
Provo a orientarmi con il Garmin 530 che ho preso da poco: come tutti i navigatori devi impostarlo correttamente per avere indicazioni precise, abilità ancora mancante. Mi ritrovo in tal modo a perdermi nella periferia e nella campagna intorno Cremona fin dai primi km.
A un certo punto mi faccio spaventare dalla consistenza della strada bianca che ho imboccato e allora torno indietro per tre o quattro km sulla strada asfaltata. Guardando Google Maps con calma mi renderò poi conto che potevo proseguire senza particolari intoppi: insomma devo imparare a considerare le proporzioni tra le mappe e la realtà e ovviamente programmare meglio le tappe sul navigatore, in poche parole a perdermi con organizzazione.
C’è anche il fattore rifornimenti da considerare: sul percorso lungo Po, credo per motivi di concessioni, non sono presenti fontanelle e dovrei quindi ogni tot uscire dal percorso per raggiungere il baretto più vicino nel centro dei paesini. Tanto vale rimanere direttamente in strada.
Il bike blogger di campagna
La campagna alterna i campi rasati con le balle di fieno al sole, vecchie costruzioni di mattoni con l’intonaco scrostato, piccole botteghe con le tende a far ombra al piano terreno delle villette.
Mi infratto in un campo più accessibile per fare la foto da bike blogger con la bici gialla appoggiata alla balla di fieno e mi gratto le caviglie con i rovi e le ortiche.
La provinciale a volte attraversa e a volte costeggia canali, canaletti e fossi, mentre la linea dell’elettricità corre sui fili tenuti alti da pali di cemento.
Per qualche istante mi trovo a pedalare sulle stradine tortuose del Campidanese, dell’Ogliastra o della Gallura, con paesaggi più rocciosi, il profumo del ginepro, e i pali più bassi, a volte di legno. Il caldo pare lo stesso, anche se qui è molto più umido e il verde arriva più in alto, con i pioppi e le altre bordure.
All’altezza di Forcello imbocco la Provinciale 85 per Casalmaggiore. Le altre indicazioni portano a Gambara e Cancello: la campagna risuona del gergo ciclistico, ma con una eco che a volte lo distorce come fa l’italiano con certi dialetti o lingue regionali.
Poco più avanti una cappella porta la dedica a Nostra Signora della Strada, e Latteria Soresina ha applicato allo stesso modo l’insegna sul muro giallino del capannone.
Io viaggio in bici (senza le privazioni dell’auto)
Nel mio immaginario vive ancora l’idea del paesino di campagna con case basse verso il centro, le cascine più vicine alle coltivazioni e allevamenti, l’edificio del municipio con la scritta ben leggibile, la chiesa, il cimitero e la fontanella nella piazza: approfitto della materializzazione del mio cliché e faccio rifornimento.
La privazione sensoriale del viaggiare in auto è tanto più evidente ora: vedo tutto, sento ogni moscerino, ogni granello sull’asfalto, ogni grado di temperatura, ogni metro è una conquista.
Salendo sull’argine a San Daniele sbircio nelle corti, la mia versione della Corte Sconta detta Arcana di Hugo Pratt: se dalla strada si vedono solo i muri con poche finestre, da questo lato si entra nella vita normale delle famiglie, le auto parcheggiate, i panni stesi dai balconi, qualche marmocchio che gioca a pallone, altre cappelle con il crocifisso.
Sul muro della scuola primaria cittadina e del Museo Paleoantropologico del Po trovo il disegno di Ericailcane: un lupo che ricompone lo scheletro di un mammut. Il museo raccoglie infatti i fossili ritrovati sulle spiagge del Grande Fiume, resti di animali e di ominidi preistorici.
Verso Casalmaggiore
Più avanti documenti della più recente attività, la pesa pubblica e la chiesa parrocchiale in stile neogotico, che mi provoca una viva impressione staccando con il panorama circostante.
Riguadagno l’argine in località Solarolo-Monasterolo-no al colesterolo, con tutto il borgo affiancato al mio percorso e distanziato dalla provinciale, dove trovo anche il portale imponente della Cascina Stanga Maggi che svetta alla pari del campanile parrocchiale, e il giardino dell’uva intorno alla canonica.
Trovo più pedoni che ciclisti sull’argine, pochissime auto, qualche contadino che armeggia con il trattore nel campo lì in basso.
Sono sempre esposto al sole ed ai venti, ma poco prima delle costruzioni di Casalmaggiore trovo la chiesetta di Santa Maria dell’argine, dispersa nel nulla, mattoni rossi e campanile con cucuzzolo conico. Location: “diesci”.
Dall’argine rialzato, ho la vista allungata e le torri delle chiese sono più facilmente individuabili, così seguo il campanile raggiungendo la piazza principale da un vicolo con l’arco sull’ingresso.
Sono diviso tra la voglia di fermarmi e di ripartire: mentre rimugino bevendo il succhino preso la mattina a colazione, mi si avvicina un motociclista che mi avvisa dell’arrivo di una carovana di auto storiche. In pochi minuti la piazza si riempie, saluto e riparto.
Lungo il Grande Fiume Po
Da Cremona ho lasciato alle spalle circa 50 km, e ho mantenuto una buona media per i miei canoni, ma ora la temperatura è più alta e rallento.
La strada corre un po’ più vicina al fiume, che rimane però coperto dai boschetti artificiali. Solo ogni tanto si riesce a intravedere, in corrispondenza magari di depositi della sabbia e ciottoli a forma di dune con i loro nastri trasportatori blu ral o verde industriale.
In alcuni punti il sentiero è interrotto alla circolazione delle auto, ma pedoni e ciclisti schivano i new jersey.
All’altezza di Viadana provo a seguire la torre dell’acqua, questa volta non vedo campanili e trovo un baretto di salvataggio senza clienti, dove riempio le borracce e prendo il caffettino d’ordinanza, insieme alla ormai solita lattina di aranciata per il pomeriggio.
Punto verso Pomponesco, tagliando l’ansa del fiume, una delle tappe intermedie sulla strada verso Mantova: sulla provinciale ho tolto la veste del naturalista e indossato quelle del ciclista su strada, anche se il mio cancello giallo non è leggero e neppure veloce.
Da Pomponesco al ponte di barche
La piazza centrale del paese di Pomponesco, rettangolare e allungata, pare un cortile, come se tutto il borgo fosse un’unica cascina. In fondo tra i tendoni del mercato, si intravede di nuovo l’argine. Mi rimetto sulla strada provinciale, dove un simpatico sole delle alpi in verde, l’adesivo “repubblica del nord” e il cartello “Correggioverde – 1” mi strappano un sorriso: ecco l’origine del nome e di tutta la simbologia!
Seguono Dosolo, Villette (hai indovinato: pieno di capannoni), Villastrada, San Matteo delle Chiaviche, patrono dei ciclisti lenti.
A bordo strada ogni qualche km incontro i resti di animali con effluvi difficili da dimenticare, e cerco di scansare le mosche.
Queste scene contrastano non poco con la serenità distaccata del verde dei boschetti artificiali e dei campi intorno. Nel cielo un distante presagio di tempesta. Qualche nuvola densa e più vicina mi preoccupa un po’ e cerco di allontanarle pedalando più forte:
Vanno, vengono, ogni tanto si fermano,
e quando si fermano sono nere come il corvo.
Sembra che ti guardano con malocchio.
(Le nuvole di Fabrizio De André)
Poco fuori Dosolo un canale pieno si affianca alla strada e mi segue; le acque placide cambiano di colore assumendo tonalità fluo. Sembra un viaggio da Paura e Delirio a Las Vegas, ma non ho assunto cedri di recente.
Dopo la zona costruita di San Matteo inizia un’area di coltivazione di alberi ad alto fusto e intravedo nell’ombra un edificio ad un solo piano. La scritta sul vialetto di accesso riporta “Azienda Agricola” e il marchio FSC.
Dopo poco più di due km e mezzo da San Matteo giungo al ponte di barche di Torre d’Oglio assai vicino al punto in cui confluisce nel Grande Fiume. Il ponte ha una singola corsia, una sezione centrale più bassa che poggia sulle chiatte e il cartello avvisa della pendenza al 10%, così scarico tutto il cambio e mi ritrovo prima a frenare duro e poi a frullare risalendo sull’altra sponda.
Mantova: un tè a Palazzo Tè
Arrivo a Cesole e mancano ancora 15 km a Mantova.
La strada prosegue senza intoppi e il benvenuto nella città mi viene dato dalle fontanelle del parco Tazio Nuvolari, che quasi prosciugo, sentendomi come Padre Hennessy di Constantine: il prete alcolista muore annegato nei liquori perché è come se non li potesse avvertire mentre li scola nella gola.
Raggiungo il centro con le piazze coperte di ciottoli rotondi e mi perdo tra i monumenti spegnendo il GPS, Palazzo Ducale, la Basilica e il Castello.
Mi prendo una meritata pausa nel parco con vista sul Mincio, mangio e riposo le gambe per una mezz’ora all’ombra. Le famiglie si godono la passeggiata sotto gli alberi, e le nuvole sono meno minacciose. Chiudo in un cerchio tutta la città, passando poi dal parco di Palazzo Te.
Ultimo sforzo per raggiungere Ostiglia
Uscendo da Mantova la stanchezza o la scarsa lucidità mi lanciano qualcosa tra le ruote e mi perdo nella zona industriale dopo Casette per almeno mezz’ora.
Nei prossimi viaggi mi riprometto di studiare molto meglio le mappe e i percorsi da caricare sul navigatore, sia nelle settimane prima della partenza ma anche la sera precedente ad ogni tappa, e ancora più importante di sentire i segnali quando comincio ad essere a corto di lucidità.
Seguo per Villanova de Bellis, Cadè, Roncoferraro (gemellato con Cusano Milanino), Molinello. La strada che da Mantova arriva a Ostiglia viene conteggiata da Google Maps in appena un’ora e quaranta, per poco più di trenta chilometri. Io impiego due ore, ma quando giungo alla porta del B&B La magnolia sono contento come dopo la scalata dello Stelvio. Mi accoglie la mia padrona di casa poco prima che una grandinata fulminante faccia irruzione dalle finestre aperte del bagno e dello studio all’ultimo piano.
Per il dolore ai piedi raggiungo la pizzeria in infradito come i tedeschi schivando le pozzanghere e qualche scroscio di pioggia. Mi lascio alle spalle 150 km totali, per quasi sette ore e mezza in sella.
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