Viaggio in bici con De André, da Milano a Rimini
Lascio di nuovo la parola a Davide Zeno Ferrari che questa volta ripercorre il suo viaggio in bici da Milano al mare.
Un viaggio in bici dal capoluogo Lombardo fino a Rimini, accompagnato dalla colonna sonora di Fabrizio De André.
Prima tappa
22/08/2020 Milano – Cremona
125km
Milano, Maggio 2020
Cosa fai questa estate?
Non ho tanta voglia di andare in giro (così ovviamente finisco a girovagare per tre settimane di fila). Prima di partire vedo diverse incognite, e non ultima il Covid?
Il Coronavirus non è certo un tema banale, non si tratta di pianificare una uscita di poche ore, ma una viaggio in bici di almeno una settimana, in solitaria, con la bici gialla.
Mi prendo un periodo di riflessione e valuto che, date le disposizioni sanitarie del momento, non mi spingerò oltre.
Questi tempi non mancheranno di riapparire nei ricordi, così come tutti i momenti intensi, ma per affrontarli ora penso spesso al dottor F:
nera che porta via, che porta via la via
nera che non si vedeva da una vita intera così dolcenera nera
nera che picchia forte, che butta giù le porte
nu l’è l’aegua ch’à fá baggiá
imbaggiâ imbaggiâ
nera di malasorte, che ammazza e passa oltre
nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c’è luna luna
nera di falde amare, che passano le bare […]
(Dolcenera di Fabrizio De André)
Organizzazione del viaggio in bici
L’organizzazione inizia per davvero solo poche settimane prima: come al solito valuto infinite opzioni. Valtellina? Già vista in parte l’anno scorso.
Toscana? Vediamo la Via Francigena… A parte il pass del viandante, che ti apre le porte delle osterie, con vino e ribollita estiva, i siti parlano di pianificare con largo anticipo le scorte d’acqua in mancanza di fontanelle o di truppe cammellate con i rifornimenti per la strada.
Liguria? Ho cominciato l’esplorazione ad inizio 2020, da Genova a Savona e oltre, e sembra già un’altra vita: non voglio prendere la strada dei ricordi e dei rimorsi.
Enzo il meccanico, come spesso accade, mi suggerisce l’intuizione: mi presta la guida della ciclabile lungo Po in due volumi: Ciclovia del Po. Primo tratto. In bicicletta dalla sorgente a Cremona e Ciclovia del Po. Secondo tratto. In bicicletta da Cremona al mare Adriatico di Claudio Pedroni, Antenore Vicari, Ediciclo, 2011.
Sono indeciso: partire da Milano in treno e raggiungere la stazione più vicina alla sorgente o cercare una via alternativa?
Purtroppo, non trovo una soluzione comoda per caricare la bici in treno e trasportarla (smontata) fino a Pinerolo in tempo per affrontare la salita. (“Sgambata a Pinerolo! Cosa saranno 1200 km?” cit.)
Lo sconforto si riassume nel claim del sito: “Treno+bici, un mondo di vantaggi per te” …c’è ancora qualcosa da mettere a punto.
Ripiego quindi sulla partenza in bici direttamente in strada, e sul ritorno in treno evitando i convogli a più lunga percorrenza, dove sarei costretto a smontarla. Sarebbe infatti un peso ulteriore portare una borsa per il trasporto. Pavia è facilmente raggiungibile da casa tramite la ciclabile del Pavese, che già conosco. Una delle ultime volte ho condotto il mì vècio in una delle sue prime uscite in pianura, e successivamente ancora affrontando un giro dei tre navigli in un tardo pomeriggio estivo dopo il lavoro (Naviglio Grande, di Bereguardo e Pavese).
Così, trasporto tutto il necessario a casa dopo il check generale del meccanico: borse, bici gialla, vestiti, borracce…
Ho svuotato il frigo lasciando solo il necessario per la colazione, così anche la cena dello scapolo è abbastanza frugale, per non dire essenziale, per non dire magra, per non dire triste.
Partenza: che effetto fa vedermi per strada?
Come si fa a restare davvero soli, se quando non ci sono altri intorno a noi abbiamo comunque la nostra compagnia? È come portarsi dentro uno specchio e avere sempre qualcuno che ti guarda di riflesso. Come posso apparire per strada vestito in abiti succinti e attillati, colori chiassosi da punk, borse a non finire?
Ricordo alla persona nello specchio che l’attrezzatura in realtà è solo uno strumento per raggiungere l’obiettivo, questa volta il mare Adriatico, non un fine di per sé.
Saluto le vicine di casa che prendono il sole in costume sul balcone: con la tutina da bici non mi sento troppo diverso. Dopo questo primo buongiorno emozionante inizio il mio viaggio in bici con calma; me ne pento cominciando presto a sudare nel clima inospitale della città di metà mattina.
Naviglio pavese già in ritardo
Raggiungo Piazza 24 Maggio e imbocco l’Alzaia.
Ricordo quanto era bello da ragazzino saltare sui dossi artificiali, la mattina dopo avventure notturne in case sconosciute, sulla strada di ritorno verso il proprio letto. Con la bici gialla carica e pesante cerco di evitare certe frivolezze.
Passo ristoranti, aiole di girasoli che ricordavo altissimi in una sera dell’estate 2019 e invece nello schermo vengono riportati azzerati.
Le strade di Morivione sono sempre da scansare nelle sere estive se non si vuole diventare a ogni sosta un puntaspilli, ma la mattina della prima tappa incontro pochi automobilisti e non ho neppure i moscerini per colorare il sorriso mentre canto e fischietto.
A parte le barrette, qualche gel e l’acqua ho messo nella borsa anche uva e pomodori da consumare durante il tragitto per integrare i sali. Non mi soffermo ancora a onorare gli idraulici che hanno installato la fontanella lungo il canale, mirabile ritrovato tecnologico ristoratore, rifugio dei vagabondi, oasi di pace nella canicola, miraggio del ciclista.
All’altezza di Badile, nome esotico ed evocativo, attraverso il ponte sul naviglio e mi porto sull’altra riva.
Poco più avanti mi ricordo della presenza di buche e radici affioranti dall’asfalto, segnalate da qualche samaritano con vernice fluo; questo non allevia il dolore ai polsi quando li affronto tutti senza rallentare.
Il dolore passa velocemente perché ho fatti ben più seri cui pensare: il vento contrario, le temibili gomme adesive e l’orologio che va sempre nello stesso verso.
Il tratto Binasco-Pavia
All’altezza di Binasco attraverso il sottopasso della statale dei Giovi, per fortuna non più allagato. Tornare sulla strada delle auto (sic!) avrebbe significato spingere la bici sul terreno sconnesso e poi un lungo tratto tra le cannonate.
Hanno sistemato di recente il tratto seguente di ciclabile, con un brecciolino assai facile da pedalare e staccionata per separare le bici dai trattori.
A Casarile incrocio le chiuse, unico indizio per me della strada in leggera discesa, e poi ancora chiuse, ponti pedonali non agibili, qualche attraversamento stradale troppo largo per essere sicuro. In alcuni tratti mi ricordo del profumo del caprifoglio la sera di qualche settimana prima, quando perlustravo la zona, o delle imbarcazioni usate per dragare il fondo dalla vegetazione a inizio estate.
Gli aironi grigi sono ancora un avvistamento che considero raro, abituato ai colombi di città, e mi spalancano gli occhi. Mario Tozzi dallo specchio mi ricorda delle zone umide ri-naturalizzate in quest’area, con la natura che si prende una rivincita e un modo diverso di vivere e lavorare la campagna.
Alla Certosa di Pavia passo l’edificio dei molini, con relativo salto d’acqua e il percorso si allarga, per consentire il transito agli abitanti delle villette, in auto. Comincio a spingere di più sui pedali sentendo il primo traguardo intermedio avvicinarsi.
Speravo di poter raggiungere Pavia presto, così da rilassarmi in seguito: avvicinandomi di nuovo alle zone costruite, invece, la temperatura sale e le medie si abbassano. Scendo di sella solo per sgranocchiare qualcosa di fronte al Castello, mandare aggiornamenti a casa (mi sento assai responsabile per essermelo ricordato) e per accorgermi di voler ripartire subito.
Attraverso il centro chiuso alle auto con i negozi e la passeggiata, un via vai di persone di un qualsiasi sabato. Mi rendo conto che solo il sabato precedente avevo realizzato il record personale: raggiungere la grigliata di Ferragosto a casa dei genitori in meno di mezz’ora e non esagerare con la carnazza. Avevo seguito il consiglio del mio Direttore Sportivo informale di tenere la cadenza alta e l’andatura regolare e mi ripeto il mantra anche ora.
La strada davanti a me da ora in poi sarà tutta sconosciuta
Mi avvicino a San Leonardo, borgo con chiesetta che mi rassicura notevolmente rispetto alle provinciali circostanti. Sono circa all’altezza della confluenza del Ticino nel Po.
Seguono i borghi di Ospedaletto, Linarolo e Belgioioso. Ci deve essere qualcosa di strano nei magazzini che vendono GPL e ferramenta: Storgaz di Pavia fa ridere come Ghebagas di Cosio Valtellino.
Attacco le provviste di frutta e verdura mentre comincio a preoccuparmi delle riserve idriche. Non ho risparmiato bevutine e spruzzatine di acqua nel casco e sulle scarpe. Le chiesette che sorpasso sulla provinciale mi rivolgono le facciate laterali cieche e nessun indizio di rifornimenti.
Il Castello (e parco) di Belgioioso meriteranno una seconda visita. Pedalo verso Torre de’ Negri.
Approfitto del tratto di ciclabile lungo la provinciale, cercando di schivare i vetri: deve essere cultura locale costruirle in questo modo e posso solo rispettare gli usi del luogo. Considero lo slalom come allenamento nella conduzione del mezzo. Poche centinaia di metri dopo mi soffermo ad ammirare di nuovo il folklore. Di certo qualche lappone ha preso la casa delle vacanze per ammirare la ciclabile così ben fatta.
La campagna si apre di nuovo di fronte a me. La strada prosegue a zig-zag tra i campi, poco frequentata. Ogni tanto qualche cattedrale con le guglie a forma di silos e l’acquasanta nel canaletto compare da lontano per farsi gigantesca quando la raggiungo.
Sostegno, Spessa e San Zenone al Po: il nome è di buon auspicio
Continuo a bere e mangiare, lanciando nei campi a bordo strada quei ciliegini che mi guardano ormai con l’occhio storto. Scavalco il fiume Olona che si butta un po’ più avanti nel Po.
Esco dal centro abitato e mi rivolgo ancora a est sulla provinciale. La strada è una costa grigia sul mare della campagna che frange, e la spuma è il verde incolto ai bordi dei campi. Il granturco copre tutta la pianura, interrotto dalle bordure di alberi ad alto fusto.
Imbocco un tratto di ciclabile non asfaltato sull’argine del fiume e i copertoni Schwalbe G-one Speed 700×30 mi assistono tranquillamente, anche se dal disegno sono molto stradali.
Perdo la connessione con il gps che mi vorrebbe ancora sulla provinciale, ma in questo modo sono lontano dal traffico e in mezzo alla ventura.
Raggiungo Pieve Porto Morone, nome guadagnato in epoca antica per le attività sul fiume, e mi prendo una pausa a bordo strada per occuparmi della sistemazione notturna a Cremona. Come l’anno precedente ho prenotato tutti i pernottamenti in anticipo.
Passo Pieve e riprendo la provinciale, con auto incolonnate e solo una corsia per senso. Aumento il ritmo, ma gli automobilisti sono abbastanza rassegnati al traffico che creano e non mi danno troppo peso.
Attraversando il ponte sul fiume e il confine regionale scopro che si procede a senso unico alternato. Poche svolte, scavalco l’autostrada e poi la ferrovia che proseguono parallele, e mi trovo nell’unico Ghisallo della giornata: 20 metri di dislivello che finiscono presto in località Fontana Pradosa, praticamente un Gran Premio del Cavalcavia.
Dritto fino alla provinciale Via Emilia Piacentina. A guardia del cartello che indica Rottofreno è posizionata una chiesetta in mattoni rossi. Cosa avranno voluto dire? Per fortuna i miei funzionano bene e ho molta pianura davanti.
Mancano poco meno di 20 km a Piacenza
I Ferrari di questa zona sono tutti coltivatori, rivenditori di prodotti agricoli o mangimi e scrivono in grosso il nome in alto sui capannoni.
Scavalco il torrente Tidone che raggiunge il Grande Fiume più a Nord e in seguito anche il Trebbia, le anse mi tengono il Po distante e la temperatura su questi rettilinei super esposti è sempre superiore ai 30 gradi.
Arrivo a Piacenza ed entro nelle stradine a senso unico del centro con i sanpietrini. Devio dalla mia direzione alla ricerca di asfalto e fontanelle ma pare che sia una distesa desolata di vibrazioni. Le costruzioni hanno facciate più elaborate dei borghi di campagna e uno o due piani in più. Anche qui mi chiedo quali segreti nascondano le corti che sbircio dai portoni aperti.
Girovago in cerca di rifornimenti d’acqua ma non ho molta voglia di legare la bici in piazza ed entrare in uno dei baretti del centro.
Esco dal centro storico e mi faccio convincere dalla promessa di ristoro di un baretto poco frequentato. Sono ormai poco lucido e devo fare una sosta.
Scopro un mix di acqua e aranciata in lattina che mi accompagna per il resto del pomeriggio nella borraccia, panino leggero, confermo la prenotazione dell’albergo e smetto di preoccuparmi della sistemazione notturna. In questo modo ho la possibilità alla ripartenza di perdermi sotto il sole battente e di insultare a gran voce il navigatore prima di spegnerlo.
Cespugli di oleandri di diversi colori danno un senso alla strada dell’area industriale. Comincio a recuperare me stesso e mi rimetto di nuovo sul rettilineo: Croce Grossa, Borghetto Paver e Roncaglia. Trovare disegni sui muri di persone conosciute (Mr Fjodor e Alessio Bolognesi) mi rende questo paese più familiare.
A Caorso penso come Forrest Gump di essere un po’ stanchino e di volere acqua fresca e un letto.
Sorpasso il torrente Chiavenna (Dejà vu? Poco lontano sugli appennini si trova anche Bobbio), e guadagno il percorso ciclabile lungo Po con la sua segnaletica ed il marchio Eurovelo.
È metà del pomeriggio e mancano poco più di dieci km a Cremona
Attraverso per l’ultima volta il fiume sul ponte in metallo, divertendomi a far risuonare le grate a ritmo. Avevo visitato nel 2016 il Museo del Violino durante una gita per festeggiare la laurea, ma non ho riferimenti mentre mi avvicino al centro. Nella stessa occasione ci eravamo fermati una sera per vedere la collezione privata di bici antiche Azzini a Soresina, con testimonianze dei mezzi più importanti costruiti dalla sua invenzione fino a quelle da corsa degli anni ’50.
Ricordo di aver sobbalzato entrando nella sala con le bici Taurus; tra l’altro le bici Taurus con freni a bacchetta sono le preferite di Enzo il meccanico.
Foto di rito di fronte al museo e guadagno l’albergo. La prima tappa del mio viaggio in bici da Milano a Rimini è conclusa. Ora solo doccia, riposino e ricerca di un ristorante per la meritata cena: birretta, pansotti, torta fritta con formaggi e tiramisuper (supergiallo anche).
Leggi il racconto della seconda tappa, Cremona-Ostiglia.
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