Viaggio in bici con De André, 5. Da Rimini a Bologna
Dopo la prima tappa Milano-Cremona e la seconda Cremona-Ostiglia, la terza Ostiglia-Codigoro, e la quarta Codigoro-Rimini, è venuto il momento che ti racconti la quinta e ultima tappa del mio cicloviaggio da Milano al mare.
L’itinerario in realtà parte dal mare di Rimini e termina a Bologna, con la salita al Santuario di San Luca.
Nella seconda parte di questo articolo, ho inserito anche un tentativo di decalogo per il perfetto cicloturista, basato sulla mia personale esperienza.
Quinta tappa
26/08/2020 Rimini – Bologna
130km
È la mattina dell’ultimo giorno e indosso la tuta non più del tutto fresca, nonostante i lavaggi sotto la doccia delle sere precedenti.
La colazione è servita al tavolo, con un sacco di varietà e tutto fatto in casa. Compro della frutta come rifornimento della giornata da mettere nella sacchetta di tela sulla schiena e riparto verso le dieci dal parco Federico Fellini.
Non ho avuto tempo di girare Rimini come si conviene e probabilmente sarebbe stata la stagione giusta, un po’ meno affollata del solito, con solo i turisti russi più riconoscibili tra gli italiani e i locali.
Attraverso il porto canale di Rimini, il fiume Marecchia e raggiungo di nuovo il Rubicone, prendendo poi il percorso che costeggia il Pisciatello (!!!).
Sotto al cartello che indica l’ingresso a Villalta in corrispondenza della torre dell’acquedotto, ad una fontanella che avvisto in ritardo e recupero con una svolta ad U, incontro un magrolino in bici da corsa e scambiamo due parole, poi lo guardo andare via invidiandone lo scatto.
A testimonianza delle deviazioni inutili e costose del giorno prima, mi ritrovo a percorrere la provinciale che si svolge parallela all’aeroporto infinito di Cervia.
Poco prima di Pisignano una signora attenta alla mia vita non rispettando la precedenza (“ASSASSINA!”), subentrando dalla via laterale sulla destra. Fortunatamente per istinto mi son già portato verso il centro della carreggiata vedendola arrivare troppo disinvolta, pinzo alla morte rallentando bruscamente ed evito l’incidente.
Le mie urla rabbuiano il nonno che gioca con i nipoti nel giardinetto attaccato all’incrocio, ma la signora va via senza nemmeno salutarmi. Deve essere di certo una di quelle signore che ho importunato nelle gite della scorsa primavera, facendo i complimenti per il bel giardino.
Quando sei in bicicletta per le strade la tua vita è un po’ meno tua e un pochino più degli altri, signore sulle Panda, camionisti, pedoni e perfino altri ciclisti: devi metterlo in conto prima di partire e infilare la testa sotto al casco. Il casco senza la testa serve poco…
Borgo Cella, poi Castiglione di Ravenna, e di nuovo San Zaccaria. Passando di fianco ad un campo assisto e fotografo la raccolta a mano di cipolle (o patate?).
Mi dà uno strano effetto vedere persone di colore chine sul campo a riempire sacchetti intorno ad uno molto più chiaro in piedi nel cassone di un rimorchio.
Onoro nuovamente la fontanella sulla provinciale 3 a San Zaccaria di Ravenna, senza la doccia anche se la mattina comincia a riscaldarsi notevolmente.
Aggiro il centro di San Pietro in Campiano, percorrendo le stradine non più asfaltate che dividono i campi, poi dirigo verso San Pietro in Vincoli. Nel parcheggio a fianco la chiesa parrocchiale hanno installato la casetta dell’acqua e mi fermo a onorarla all’ombra degli alberi.
Costeggio un corso d’acqua e i suoi canneti: “Ah ma è (il fiume) Ronco!”
Una coppia di cicloturisti viaggia sulla provinciale, accaldati e stracarichi.
Raggiungo l’ultimo San Pietro, questa volta in Trento, in quanto al trentesimo miglio della centuriazione romana, con la Pieve ricostruita nel corso del Novecento dopo la distruzione ad opera dei Tedeschi.
Finisco l’uva di gran gusto e riparto: Passo Vico, Borgo Ballardini e Prada (“Luna Rossa c’è!”). I toponimi sono fantasiosi e fanno pensare: per esempio Granarolo Faentino si distingue dall’omonimo Granarolo dell’Emilia, oppure Testi Rasponi… ok, non dico nulla.
Le fontanelle che incontro ogni tanti km disperse nella campagna sono solo statue di ghisa, prosciugate e derubate dei rubinetti, ma a Cotignola scavalco di nuovo il Senio e mi fermo al bar che prende il nome dal fiume. Fuori signori di diverse epoche giocano a carte, bevono qualcosa di fresco e commentano Gianni Drudi.
Mi fermo per riprendermi dal caldo per almeno una mezz’ora, poi riparto con il pieno d’acqua e l’aranciata in lattina d’ordinanza. La temperatura ha superato i 30 gradi nella mattinata e non si abbasserà più fino alla sera, almeno secondo il ciclo omputer.
Seguono Lugo, San Vitale, Sant’Agata sul Santerno, sfioro Giardino (complimenti signora) e comincio a vedere le prime indicazioni per Bologna con sfondo blu.
Anche Massalombarda ha il suo ex zuccherificio in attesa di valorizzazione. Osteriola, Palazzo Guerrino, Sesto Imolese, Crocetta, poi il navigatore mi fa deviare e prendere un ramo di provinciale che passa dietro all’abitato di Ganzanigo: è brutto, scomodo e costituisce ancora una deviazione inutile così riprendo la traiettoria precedente passando per Medicina, famosa suo malgrado in epoca di prima ondata Covid.
Mangio la banana di Rimini ma sono cotto e mancano almeno 20 km alla fine.
L’ingresso a Bologna
L’ultimo tratto è costeggiato da capannoni e concessionarie di auto, e si può dimenticare facilmente.
Avviso a casa del mio arrivo a Bologna sotto la porta di San Vitale e proseguo verso il centro. Come già noto i portici sono disseminati per tutte le vie principali e secondarie, e visto che è ancora relativamente presto decido di perdermi per il centro (Piazza Maggiore, le due torri Garisenda e Degli Asinelli, Piazza Santo Stefano), e di attaccare anche il San Luca.
Chiamo a tal proposito Enzo il meccanico da Piazza Cavour e mi dice dapprima che non ce la farò mai, e subito dopo cambia idea e me lo descrive come uno “strappetto”.
Non intendo subito la goliardata così mi avvio, data anche la breve distanza tra l’albergo e il santuario.
Passo Porta Castiglione e imbocco la tangenziale delle biciclette, una ciclabile intorno alla città realizzata in sede propria e rialzata al centro del viale alberato. La strada che sto percorrendo cinge la città e la divide dai parchi più a sud.
La scalata al santuario di San Luca
Raggiunto l’Arco del Meloncello inizio la scalata, riconosco la costruzione del santuario dalle immagini del Giro di Italia di qualche anno fa, e dalle viste di Google Maps.
Mi ero informato delle pendenze sapendo che pochi giorni dopo il Giro era stata organizzata anche una cronoscalata a scatto fisso: nel momento in cui imbocco la strada capisco il trucco di Enzo il meccanico.
Probabilmente con un mezzo diverso, senza bagagli e senza i 130 km nelle gambe l’avrei affrontata in modo diverso. Sta di fatto che ho incrociato per le vie della città numerosi ciclisti, ma ora sono rimasti solo gli sportivi veri.
Attacco alcune rampe come se fosse il Cornizzolo, in altri casi mi sgancio e trascino la bici gialla.
Il percorso segue tornanti stretti che avrei paura ad affrontare in auto, anche in discesa, mentre in bici rischio quasi di impennarmi.
Arrivo in fondo completamente a secco e onoro la fontanella di fronte all’ingresso del santuario.
Un anziano mi guarda mezzo ammirato e mezzo divertito, io ricambio lo sguardo ma non so se è chiaro quanto ho camminato e quanto ho pedalato.
Sera bolognese
Questo è l’ultimo numero della giornata: guadagno l’Hotel Maggiore e mi sistemo.
La struttura, parte della rete Albergabici, mi presta una “olanda” per raggiungere la cena in centro e mi permette anche di portare la mia Kona in camera (molto gradito).
“Nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino”, ma ci provo con tutte le mie forze e alla fine approdo ad un goloso piatto di tagliatelle con crudo e cheese cake finale.
La sera di Bologna è viva di giovani e famiglie e incrocio situazioni da universitari che mi piacerebbe approfondire, ma sono diligente e torno stanco verso casa passando per via Emilia (paranoica).
La mattina seguente mi vesto con abiti civili e cappellino da ciclista che ritrae una tigre (quella di He-Man da Cagliari) e mi avvio verso la stazione.
Ho passeggiato brevemente per la città nelle due precedenti occasioni in cui avevo accompagnato Enzo alla fiera di Bernardi, grossista di parti e
accessori ciclo, ma questa volta ho più tempo e mi godo ancora le architetture locali.
Il treno è un regionale veloce Trenitalia, e questo mi permette di caricare la bici negli spazi appositi a portata di vista e di tornare con calma verso Milano Lambrate.
Il decalogo del perfetto cicloturista (ma anche no)
Facendo un bilancio del mio cicloviaggio fino al mare, ho stilato un decalogo, che puoi leggere come guida al cicloturismo ma è più una morale della storia.
1. Attrezzatura per il cicloturismo
Le borse bikepacking di Geosmina sono state ancora una volta assai utili. Probabilmente ho imparato a riempire meglio la borsa posteriore, o forse ho spinto meno spesso in alzata sui pedali, ma non ho quasi sentito lo sbilanciamento laterale.
In aggiunta alle borse mi piaceva tenere i viveri freschi in una borsa di tela con le bretelle lunghe, a portata di mano, e le scarpe civili in tela in una busta di plastica legata intorno alla borsa anteriore con una sagola.
Il portaborraccia sul manubrio è una aggiunta recente e molto apprezzata in estate per aumentare le scorte d’acqua e la comodità nel raggiungerle. Nella prossima occasione utile mi riprometto di studiare l’attacco della minicam al telaio e di portarmi una memoria aggiuntiva.
2. Navigazione: gps o cartina?
I viaggi più lunghi dovrebbero essere preparati con maggiore attenzione: la tecnologia è uno strumento e non ci si può affidare totalmente ad essa. Le cartine sui piccoli schermi del navigatore e del cellulare riportano la realtà con proporzioni non sempre chiarissime. Le abilità di orientamento sono ancora da migliorare: è anche bello perdersi, ma non così spesso e non sotto al sole.
Il Garmin Edge 530, come molti degli strumenti elettronici che riempiono le nostre vite, è molto avanzato e pieno di possibilità. Spero un giorno di riuscire a sfruttarle tutte, ma ci vorrà un po’ di studio.
3. Rifornimenti e idratazione
Lungo il Po mi sarei aspettato le fontanelle sulla ciclabile dato che si tratta di un percorso famoso. La Ciclabile Valtellina è attrezzata e segnalata in modo migliore.
L’abbandonare il sentiero per cercare i bar nei borghi dovrebbe esser fatto per l’interesse e la bellezza dei luoghi, non perché ti stai seccando al sole. Le bevande gassate che evito normalmente sono state la salvezza, mischiate in ugual misura all’acqua nella borraccia mi hanno fornito gli zuccheri persi nello sforzo (aspetto voi nutrizionisti: fatevi sotto!).
4. Sistemazione notturna
Ho scelto anche quest’anno di prenotare in anticipo alberghi, ostelli o b&b. Mi sono risparmiato la preoccupazione durante il tragitto e mi sono concentrato sul pedalare.
Oltre a questo, scegliendo in anticipo le strutture si ha modo di confrontarle e scegliere la fascia di prezzo preferita.
5. Alimentazione
Date le alte temperature nel tragitto ho preferito mangiare leggero a pranzo e concentrarmi su colazione e cena. Gli alberghi dove alloggiavo fornivano la colazione, sempre sostanziosa, e per la cena mi affidavo ai consigli dei miei ospiti o alle ricerche su internet.
Avevo procurato barrette e gel a Milano, e quando sono finiti mi sono affidato alla frutta comprata sul posto.
6. Performance
Non sono un ciclista fissato con i risultati e i numeri: il ciclocomputer che fornisce continuamente le statistiche è un mezzo per mantenere un ritmo il più possibile costante e riuscire a raggiungere la destinazione per tempo e in condizioni fisiche migliori.
Ad ogni modo il confrontarsi con i limiti fisici ha effetti psicologici importanti: l’aver raggiunto il mare in bici da casa è un’impresa degna e mi aspetto di compierne altre ancora più importanti in futuro.
7. Paesaggio
La natura è uno spettacolo che non smette mai di sorprendermi e la bici è un macchinario della meraviglia. La campagna che ho preferito è stata quella del ferrarese, per i suoi alberi a proteggermi dal sole e la fauna di garzette e guardabuoi.
Tra le città invece, Bologna mi è rimasta nel cuore, anche se ogni classifica è difficile.
8. Infrastruttura
Per fare del cicloturismo veloce, le provinciali sono sicuramente più sgombre grazie alle altre arterie riservate alle auto e ai camion, ma sono a volte dimenticate. L’asfalto a tratti è troppo vecchio per essere ritenuto accettabile e il reticolo è difficile da leggere alle velocità di un cicloturista.
Le considerazioni sulle ciclabili italiane sono note a tutti: per la mia esperienza, anche in questo caso, a volte sembrano disegnate da persone che non sono capaci di pedalare. Forse alcuni dovrebbero cambiare mestiere.
9. Sicurezza
Mettersi in strada, qualsiasi sia il mezzo, è pericoloso. Ma anche chiudersi in casa ti espone agli incidenti domestici. Il mondo insomma è pieno di pericoli, ma con ragionevolezza e programmazione si possono affrontare serenamente.
Non mi ricordo di aver visto ciclisti “sportivi” o cicloturisti senza casco, e non pedalando dopo il tramonto non ho notato le luci (che avevo sempre montate sul manubrio e sulla borsa posteriore) o giubbetti ad alta visibilità.
Riguardo il resto della mia attrezzatura, nella borsa centrale al telaio ho incastrato la mantellina antipioggia, ho montato il campanello Kona in dotazione e aggiunto un campanellino alla borsa posteriore, sui pedali e sulle ruote ho montato i catarifrangenti, occhiali da sole fascianti e crema solare sono ovviamente tra gli accessori fondamentali.
10. Divertimento
Muoversi, spostarsi e viaggiare è implicito nella natura umana e ci si mette del tempo a trovare il modo preferito. Andare in bici a inseguire le farfalle o a raccogliere i fiori nei campi, come dice Enzo il meccanico, ti fa scoprire i luoghi esotici e con nomi insoliti ma dietro casa.